Non è solo una retrocessione sportiva. È una ferita culturale, un vuoto nell’identità collettiva. E a dirlo non è un tifoso qualunque, ma Nino Di Giacomo, dirigente protagonista della storica promozione della Pallavolo Aragona in Serie A e uomo di fiducia dell’industriale Marcello Giavarini, ai tempi dell’Akragas in Lega Pro.
Le sue parole, affidate a un messaggio sincero e carico di passione, suonano come un campanello d’allarme per una città che rischia di perdere un patrimonio, forse senza rendersene del tutto conto.
“Dispiace tanto – dice – perché da un momento all’altro si crea un disagio enorme. Ci sono giocatori che vivono di questo, non è solo una questione di tifo, è un lavoro, una vita.”
Ma è nella sua lucida analisi sociale ed economica che Di Giacomo tocca il cuore della questione. “L’Akragas sta subendo una retrocessione culturale, prima ancora che sportiva. Si dice che è un patrimonio della città, ma poi a chi interessa davvero? Ai 1.500 tifosi che ogni domenica mettono anima e tempo per seguirla?”
Il dirigente lancia un messaggio chiaro e concreto: “Dobbiamo capire che la presenza allo stadio è un contributo diretto. Se andassimo in 5.000 persone a 10 euro, significherebbe 50.000 euro a partita. Immaginate alla fine della stagione cosa potrebbe rappresentare questa cifra. Non servono per forza magnati o finanziamenti, ma una base solida di passione popolare.”
Di Giacomo è netto anche sul futuro: “Leggo di ricostituzioni, ma attenzione: il cosiddetto lodo Petrucci non si applica all’Akragas. Vale solo per le società professionistiche fallite. Quindi o si riparte dalla Terza Categoria oppure si cerca un titolo sportivo esistente, magari da una società vicina in difficoltà, come ha fatto di recente il Favara.”
Il messaggio è diretto, senza filtri: “Se vogliamo davvero tutelare l’Akragas, dobbiamo essere noi il vero sponsor. Non dipendere da questo o quell’imprenditore. Siamo noi agrigentini a dover fare la differenza. Perché una città come Agrigento merita una squadra di calcio. Ma serve esserci.”
Un appello che è anche una sfida: riscoprire l’orgoglio, rispondere con i fatti, riempire gli spalti e tornare a sentirsi comunità attraverso il calcio. Perché se l’Akragas è amore, come ha detto Firetto, è tempo di dimostrarlo. Con la voce, con la presenza, con il cuore.
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