Le perdite sono davvero enormi in quanto gli introiti sono legati al numero di visitatori di musei, aree archeologiche, giardini storici, parchi, monumenti. “Magari in una situazione di emergenza – spiega Giovanna Barni – le amministrazioni avrebbero potuto continuare a pagare certi servizi, e alcune lo hanno fatto, ma si contano sulle dita di una mano”. “Noi abbiamo pazientemente aspettato e siamo increduli che ci siano voluti 9 mesi per capire che esistiamo come filiera”. Ed è così che in rappresentanza di Coopculture Barni tiene a precisare: “queste cooperative danno lavoro e servizi di qualità anche a tutti gli stranieri che vengono in Italia, abbiamo aiutato il Pil del Paese. I nostri lavoratori sono anche soci (non tutti ma oltre 1.000 lo sono). E’ un’attività radicata nei territori e la cooperazione come modello di impresa è perfetta perché non fa profitto dalla cultura ma crea lavoro, occupazione e reddito: noi abbiamo sempre reinvestito in innovazione e formazione dei soci. Noi non privatizziamo il patrimonio culturale ma lo attiviamo”. Prova ne sono i numerosi siti valorizzati da Coopculture da nord a sud del Paese, dal Museo Egizio di Torino, al Colosseo e palazzo Merulana a Roma, alla Valle dei Templi ad AGRIGENTO (solo per citarne alcuni). Un esempio molto virtuoso quest’ultimo dove la messa a valore del gioiello di AGRIGENTO è stata un motore di sviluppo che ha generato una filiera economica con l’apertura di numerose B&B, impulso all’artigianato artistico del territorio e imprenditoria giovanile con un’attività turistica legata alle mongolfiere.