L’arcivescovo di Agrigento condivide un messaggio di pace e riflessione per la Pasqua.
Nel suo messaggio pasquale, l’arcivescovo di Agrigento, Alessandro Damiano, invita i fedeli a riflettere sul significato più profondo della Pasqua. Con il desiderio che i suoi auguri possano raggiungere ciascuno, Damiano condivide una riflessione ispirata al Vangelo di Giovanni.
La scena del Vangelo che l’arcivescovo mette in evidenza è quella della sera di Pasqua, quando i discepoli erano chiusi per timore dei Giudei. Immaginando di essere presenti in quel cenacolo, Damiano invita i credenti a confrontarsi con la paura, il fallimento e l’oscurità che i discepoli stavano vivendo.
Tuttavia, ciò che accade è sorprendente: Gesù entra in mezzo a loro e anziché rimproverarli, pronuncia le parole “Pace a voi!”. Questo gesto, spiega l’arcivescovo, è la potenza della Resurrezione, il vero significato della Pasqua. È un invito a entrare nei luoghi bui delle nostre vite, delle nostre comunità, dei nostri paesi, senza giudicare, senza cercare colpevoli, ma portando solo la pace.
Damiano sottolinea che questo atteggiamento è difficile ma necessario per diventare veri uomini e donne di Resurrezione. Solo allora, afferma, potremo veramente celebrare la Pasqua.
L’arcivescovo Alessandro Damiano conclude il suo messaggio, con l’augurio che la pace e la gioia della Pasqua possano risplendere nei cuori di tutti.
Foto Antonino Piraneo
Fratelli e sorelle, abbiamo iniziato questo lungo giorno penitenziale, segnato da dolori lontani e turbamenti attuali, con la processione di Gesù “appassionato” per le vie e tra le case di un quartiere cuore della “cittadella” di Agrigento. Sulla via abbiamo vissuto “l’incontro” della Madre addolorata con il Figlio caricato dalla croce. Con loro abbiamo sostato sotto la croce e ancora percorse le vie della città. Adesso, quando l’oggi è già domani di un sabato di silenzio, in cui «il seme caduto in terra marcisce per portare frutti di vita nuova», sostiamo dinanzi a Pilato che ci mostra Gesù: «Ecce homo», ecco l’uomo! Un uomo sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo … Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Pilato, fattolo flagellare intende lasciarlo libero.
Sappiamo che non è andata così. Lavarsene le mani come Pilato è rimasto un modo di dire fino ad oggi, un motivo ci sarà.
Ecco l’uomo! Di ieri, di oggi, di sempre. Quell’uomo di cui il salmista dice: «che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato». L’uomo Gesù, esposto al publico scherno, sbeffeggiato da chi lo aveva osannato, è simbolo di tutti i popoli, di tutti gli uomini e le donne oppressi in ogni angolo del mondo e in ogni epoca della storia fino ai nostri giorni, Gesù “appassionato” ha attraversato le nostre vie richiamandoceli, al suo passaggio ci siamo chiesti, io da che parte sto? Sono anch’io un oppresso? O sono un oppressore? O uno che se ne lava le mani? Chi sono gli oppressi antichi e nuovi di Agrigento? Chi sono gli oppressori di questo popolo?
Ecco l’uomo! L’uomo della croce che da la vita in pienezza, e chi segue l’uomo Gesù si fa anch’egli più uomo tanto da poter dar voce a chi non ha voce: ai poveri di casa nostra e a quelli lontani, ai minori abusati, ai fratelli e alle sorelle sfigurati dalla guerra orribile carneficina, a giovani – e non solo – sfigurati dal consumo crescente di droghe infestanti, alle tante, troppe vittime di ogni violenza.
Ecco l’uomo Gesù, in lui un umanesimo compiuto.
Un umanesimo concreto. Nella Evangelii Gaudium, papa Francesco insegna che la realtà è sempre superiore all’idea, concretizzare significa parlare con la vita, trovando la sintesi dinamica tra verità e vissuto, seguendo il cammino tracciato da Cristo e da quegli uomini e quelle donne che hanno saputo parlare con la vita.
Un umanesimo plurale e integrale. Bisogna educarsi a saper pensare insieme, progettare insieme, costruire insieme un mondo che sia la casa di tutti i popoli, convivere è il nostro destino, la città terrena – con J. Maritain – «non è una società di genti installate in dimore definitive, ma di genti in cammino».
Un umanesimo con il primato dell’interiorità. Nel cuore dell’uomo alberga un duplice sentimento, quello di amare e di essere amato. Ricevere amore e dare amore è il senso più profondo della vita di ogni essere umano. «Nella coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore: fa questo, evita quest’altro. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo».
«Senza Dio – affermava Benedetto XVI – l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere se stesso».
Maria, madre dolorosa, ci assista nel cammino. È la Pasqua del Signore!