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Home » Valle dei Templi » Il gentiluomo dimenticato

Il gentiluomo dimenticato

Graziella Pecoraro Di Graziella Pecoraro
23 Giugno 2025
in Valle dei Templi
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Hardcastle: l’inglese che risollevò Agrigento. E che Agrigento oggi lascia crollare – VIDEO

C’è una crepa in un muro, oggi, a pochi giorni dall’anniversario della scomparsa di un grande uomo, che dice molto sulla nostra capacità di custodire la gratitudine e la memoria.

È il muro antistante la tomba di Alexander Hardcastle, il gentiluomo britannico che un secolo fa dedicò anima e fortuna alla rinascita della Valle dei Templi di Agrigento. Quel muro sta per cadere. E con esso rischia di franare – simbolicamente, ma non solo – la nostra riconoscenza verso chi si è speso per Agrigento senza chiedere nulla in cambio.

Chi era Hardcastle? Un uomo che oggi definiremmo “un visionario con i piedi nella terra e lo sguardo tra le colonne doriche”. Ufficiale della Royal Navy, raffinato uomo d’ingegno, innamorato della bellezza classica, scelse di investire la propria ricchezza e competenza per riportare alla luce l’antica Akragas. Lo fece con determinazione, cultura e generosità.

E lo fece mettendo mano al portafogli come pochi altri prima o dopo di lui. Grazie alla sua solida condizione economica, Alexander Hardcastle riversò fiumi di denaro nel ventre archeologico di Agrigento: 40.000 lire per far risorgere, almeno in parte, il Tempio di Eracle; 50.000 lire per scavare in un’area dove sognava di ritrovare il teatro greco; e poi altri fondi, senza risparmio, per portare alla luce tratti di mura ciclopiche e un’antica porta monumentale, segni concreti di una città che tornava a parlare.

Ma il suo amore per Agrigento non si fermava alle vestigia classiche. Il capitano inglese finanziò anche interventi su quella parte più viva e dimenticata della città: l’Agrigento medievale e moderna. Si caricò il peso, e il costo, del potenziamento della rete elettrica e della disastrata rete idrica. Altre 150.000 lire che avrebbe potuto comodamente usare per girare il mondo ma che invece usò per investire in una terra che non era la sua, ma che trattava come tale.

In un’epoca in cui gli scavi spesso erano saccheggi, Hardcastle praticava un’archeologia etica, filantropica, civile.

E oggi? Oggi il muro a un metro dalla sua tomba cede, sfaldandosi nell’indifferenza delle istituzioni e nel silenzio degli uomini. Nessun bando, nessun restauro, nessun grido. Chi se ne ricorda? Solo la caparbietà di pochi volontari. Lodevole l’impegno dell’associazione Cepasa e del suo presidente Paolo Cilona, che ogni anno, il 27 giugno, lo ricordano nel giorno della sua morte. E nell’anno della Capitale della Cultura le istituzioni se ne ricorderanno? Forse. Ma commemorare un morto mentre lo si lascia sprofondare nell’incuria è un atto schizofrenico, se non ipocrita.

Hardcastle finì in manicomio, solo e rovinato. Aveva perso tutto, persino la sua villa. Villa Aurea, oggi cuore del Parco archeologico, fu infatti venduta per disperazione. Morì a sessant’anni, povero, in una terra che aveva provato ad amare con opere concrete. Ora, a distanza di quasi un secolo, continuiamo a ricevere i frutti del suo lavoro, mentre ignoriamo la sua fine e lasciamo che anche la sua tomba venga divorata dal tempo.

Il 27 giugno si avvicina. E con esso l’occasione, non solo per ricordare un uomo, ma per interrogarci su che idea di memoria coltiviamo. La gratitudine, quando autentica, si esprime attraverso gesti concreti, non attraverso cerimonie vuote. Laddove si affievolisce, il passato smette di parlare e il presente si fa più fragile, privo di radici e di senso.


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