L’addio di Roberto Albergoni, ex direttore della Fondazione Agrigento 2025 e della direzione di Gibellina, si è consumato in modo piuttosto drammatico. Dalla sua intervista, pubblicata da Repubblica, emerge un quadro di tensioni e disillusione che ci permette di mettere a fuoco le ragioni della sua decisione, ma anche il fallimento di un progetto che aveva suscitato tante speranze.
Albergoni, che aveva fatto il miracolo facendosi promotore del dossier che aveva portato Agrigento a diventare Capitale della Cultura 2025, ammette che la sua fiducia nei confronti delle istituzioni è crollata. E lo fa con un amaro “Non ho la fiducia del presidente della Regione, Renato Schifani. Meglio togliere il disturbo”. È come se avesse preso atto che la macchina burocratica e politica intorno al progetto fosse ormai ingessata, incapace di evolversi in qualcosa di concreto.
Il nodo centrale della vicenda, come Albergoni stesso spiega, è un problema di risorse. Quando si è trovato di fronte al bilancio, ha compreso che non solo non avrebbe guadagnato come sperava, ma che la maggior parte dei fondi previsti per Agrigento 2025 erano stati dirottati altrove. “I soldi finora sono stati impiegati per il concerto del Volo e altre iniziative collaterali”, rivela, e la risposta delle istituzioni riguardo ai finanziamenti per i progetti artistici di quest’anno è ancora più disarmante: “zero euro”. Un fallimento annunciato, almeno per quanto riguarda gli ambiziosi progetti culturali.
Albergoni racconta anche della questione del contratto: “I revisori dei conti hanno perfino contestato il mio contratto, firmato solo quattro mesi prima, decidendo di dimezzarmi lo stipendio”. Quattromila euro, di cui duemila come indennità per il suo ruolo di direttore, che gli sono stati contestati retroattivamente senza che ne fosse stato messo a conoscenza. Ma, come sottolinea, “non è per la questione dello stipendio”. La verità, secondo lui, è che “il progetto di Agrigento Capitale era ormai compromesso”.
In un contesto già teso, dove la politica ha tentato di imporre logiche di appartenenza, Albergoni si è sentito sempre più emarginato, ridotto a un elemento di disturbo. Non è più riuscito a lavorare in un ambiente che, invece di condividere visioni e risorse per la cultura, si è ridotto a una guerra di personalismi e conflitti interni. Come lui stesso afferma: “Il progetto di Agrigento Capitale era ormai compromesso”. E la responsabilità, secondo lui, sta proprio nella politica, che ha preferito nutrire divisioni invece di costruire un percorso comune.
La sua esperienza, a questo punto, diventa una riflessione amara sullo stato della cultura in Sicilia. Se da un lato Palermo ha saputo realizzare progetti culturali di rilevanza internazionale, Agrigento è rimasta intrappolata in logiche politiche che non permettono al settore culturale di decollare. Albergoni punta il dito contro l’incapacità di coinvolgere davvero gli artisti e le comunità culturali in un progetto che sarebbe dovuto essere condiviso.
La sua partenza lascia un vuoto, ma anche una lezione: quando la cultura diventa il terreno di scontro per interessi politici, la speranza di costruire qualcosa di duraturo e significativo si dissolve rapidamente. E così, con il suo addio a Gibellina, Albergoni sembra aver chiuso un capitolo, consapevole che il “sistema Sicilia” non sia pronto a valorizzare fino in fondo il potenziale culturale che la nostra isola potrebbe offrire.
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