Angela Roberto, presidente dell’Archeoclub d’Italia “I luoghi di Empedocle” ad Agrigento, è una figura poliedrica nel panorama culturale siciliano; unisce alla formazione accademica in Scienze del Turismo e Conservazione dei Beni Culturali un impegno concreto nella valorizzazione del patrimonio locale.
La sua passione per la geostoria del Mediterraneo traspare nel saggio “Le fosse granarie di Porto Empedocle: vitali riserve sotterranee del passato” che è stato pubblicato da Ambiente e Cultura Mediterranea, Associazione che sta sviluppando il dibattito sulla mediterraneità in armonia con Agrigento Capitale 2025 con il progetto culturale “Magna Grecia”. Lo studio è frutto di anni di ricerca sul campo e analisi documentale in cui esplora le fosse granarie di Porto Empedocle, infrastrutture sotterranee che per secoli hanno garantito la conservazione e il commercio del grano, risorsa economica cruciale per la Sicilia. Attraverso un approccio interdisciplinare — che unisce geologia, archeologia e storia sociale — l’autrice ricostruisce l’evoluzione di queste cavità, evidenziando i seguenti punti chiave:
Le fosse granarie sfruttavano la marna, una roccia sedimentaria ricca di nitriti e argilla, presente nelle colline a nord di Porto Empedocle; questa composizione garantiva condizioni microclimatiche stabili, ideali per preservare il grano da batteri e umidità. La zona di Punta Piccola, designata come “Chiodo d’oro” (GSSP) per la sua rilevanza stratigrafica globale, sottolinea l’unicità geologica del sito, fondamentale per comprendere l’adattamento umano al territorio.
Dal VI secolo a.C., Akragas (oggi Agrigento) fu un centro di culto per Demetra, dea delle messi, e Porto Empedocle ne divenne il “caricatore” naturale. Le fosse, già menzionate dal geografo arabo Idrisi nel XII secolo, erano sigillate ermeticamente dopo il riempimento, metodo che stupì viaggiatori come Goethe (1787) e il barone Riedesel (1802), quest’ultimo colpito dalla capacità di conservare il grano per anni senza contatto con l’aria.
Nel XIX secolo, il documento del capomastro Giuseppe Bonsignore (1840) attestava 72 fosse, ognuna intitolata a un santo; l’estrazione avveniva mediante paranchi (argani) e canali diretti verso il porto, dove il grano era imbarcato; nel ’900, molte fosse furono riconvertite in abitazioni o rifugi antiaerei, cadendo poi in abbandono.
Una mappa del 1720 dell’ingegnere Costantino, riprodotta da Liliane Dufour nell’Atlante storico della Sicilia, offre la prima rappresentazione dettagliata della distribuzione delle fosse, collegando l’insenatura costiera all’organizzazione logistica del commercio.
Angela Roberto sottolinea come queste strutture riflettano un sistema integrato di saperi tecnici e risorse naturali, simbolo di una Sicilia crocevia mediterraneo. La citazione di Pindaro sulla città come “trono di Persefone” e i resoconti di viaggiatori illuministi evidenziano il legame tra mito, economia e paesaggio.
Il testo si distingue per l’analisi di fonti poco esplorate — come gli archivi tecnici del XIX secolo — e per l’attenzione alla simbiosi uomo-ambiente. Angela Roberto non solo documenta un capitolo di storia materiale, ma invita a riflettere sulla conservazione del patrimonio geo antropologico, tema urgente in un’epoca di cambiamenti climatici e globalizzazione. La sua ricerca, radicata nella leadership dell’Archeoclub, si colloca nel solco di una storiografia che vede nel grano non solo una risorsa, ma un elemento identitario della Sicilia.
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