Che linguaggio evangelicamente dirompente quello di Papa Francesco. Specie nell’ultima intervista, come al solito, e comunque sempre franco, schietto, senza fronzoli, scarno, essenziale che va al cuore dei problemi e lascia sempre materia su cui riflettere.
Un linguaggio dirompente, incurante di essere frainteso, che smaschera ogni forma di legalismo e di ipocrisia, per aiutare a crescere e maturare nella verità.
Ed il riferimento preciso è intanto a quello di ieri sull’aereo, durante l’intervista sull’aereo di ritorno da Cipro e dalla Grecia!
Alla giornalista che ha chiesto chiarimenti sulle dimissioni accettate dell’arcivescovo di Parigi, il Papa ha spiegato che il vescovo ha sicuramente commesso un peccato, ma “non è uno dei peccati più gravi. Perché i peccati della carne non sono i più gravi. Quelli più gravi sono quelli che hanno più “angelicalità”: la superbia, l’odio. Così il vescovo Aupetit è peccatore, come lo sono io”.
Da notare l’uso di un neologisno – “angelicalita” – di suo conio, come altre volte in passato. Un neologismo insolito che rimarca la franchezza a cui questo Papa Francesco a cui ci stiamo.
Una franchezza che ci richiama pure ad una delle sue ultime catechesi settimanali, quando commentando la Lettera di S. Paolo ai Galati, ha parlato nell’aula Paolo VI dei pericoli della Legge in rapporto con la libertà, soffermandosi sul “ sorprendente” rimprovero di Paolo che dice di avere richiamato Cefa, cioè Pietro “perché il suo comportamento non era buono”.
Pietro, infatti era rimasto vittima dell’opinione di alcuni fondamentalisti giudaizzanti. Per cui, mentre prima pranzava senza difficoltà con i cristiani convertiti dal paganesimo, poi non lo faceva più, per non incorrere nelle critiche dei giudaizzanti. Per questo il richiamo forte dia Paolo, essendo in gioco un problema di non poco conto ed in quel momento scottante, come il rapporto tra la Legge e Libertà.
Un argomento questo del rapporto tra Legge e libertà, su cui Papa Francesco ha detto di volere ancora tornare, perché lo ritiene di rilevante importanza, perché anche oggi, per una buona fascia di cattolici tradizionalisti. A cui faceva forse riferimento la stessa giornalista francese che gli aveva proposta la domanda sulle dimissioni del Vescovo di Parigi per il peccato commesso.
Dimissioni accettate, – precisava Papa Francesco – “sull’altare dell’ipocrisia” per il chiacchiericcio che ha fatto perdere la fama a mons. Aupetit.
Insomma, la fama del vescovo di Parigi è stata intaccata dal chiacchiericcio, e in queste condizioni non si poteva più amministrare serenamente la diocesi: per questo motivo Papa Francesco accettato le dimissioni del vescovo Michel Aupetit. Che era stato accusato da una inchiesta giornalistica, di una relazione impropria con una donna. Una relazione impropria che l’arcivescovo aveva ammesso, consistente solo nell’avere inviato “messaggi impropri” ma senza alcun coinvolgimento sentimentale.
Una polemica giornalistica che comunque aveva scatenato nei giorni scorsi molte polemiche in Francia ed un vero e proprio terremoto nella diocesi parigina, culminato con la decisione del vescovo Aupetit di dimettersi.
Papa Francesco si è rivolto alla giornalista di Le Monde che aveva formulato la domanda chiedendoLe “Chi lo ha condannato? L’opinione pubblica, il chiacchiericcio…Se voi sapete perché,…ditelo, al contrario non posso rispondere….è stata una mancanza …una mancanza contro il sesto comandamento, ma non totale, di piccole carezze e massaggi che faceva alla segretaria. Questa è l’accusa”.
Insomma, per essere chiari, Papa Francesco ha spiegato che il vescovo di Parigi ha sicuramente commesso un peccato, che “non è uno dei peccati più gravi. Perché i peccati della carne non sono i più gravi. Quelli più gravi sono quelli che hanno più angelicalità: la superbia, l’odio. Così Aupetit è peccatore, come lo sono io”.
Infine ha ricordato che Pietro, l’umile pescator di Galilea, il vescovo sul quale Gesù Cristo ha fondato la Chiesa, non ha commesso un peccato meno grave. Anzi !.
Un interrogativo questo, che fa e farà riflettere, perché posto alla coscienza di tutti .
Cioè: Come mai la comunità di quel tempo aveva accettato un vescovo peccatore, che pure, nel momento della prova, aveva formalmente rinnegato Cristo ? !
E la risposta che dà papa Francesco è questa: “Perché quella era una Chiesa normale, abituata a sentirsi peccatrice,… era una Chiesa umile”.
Concludendo: “Si vede che la nostra Chiesa non è abituata ad avere un vescovo peccatore, facciamo finta a dire: è un santo il mio vescovo… No, questo cappelluccio rosso…tutti siamo peccatori”. “Ma quando il chiacchiericcio cresce, cresce, cresce e ti toglie la fama di una persona, no, non potrà governare perché ha perso la fama non per il suo peccato, che è peccato — come quello di Pietro, come il mio, come il tuo — ma per il chiacchiericcio delle persone. Per questo ho accettato le dimissioni, non sull’altare della verità ma sull’altare dell’ipocrisia”.