Un cammino ufficialmente iniziato il 29 ottobre scorso, nella prima memoria liturgica di un suo più che benemerito figlio, che ha vissuto con assoluta fedeltà la sua vocazione cristiana nell’esercizio della sua professione di giudice, sul delicatissimo fronte dell’amministrazione della giustizia, cioè il beato Rosario Angelo Livatino di Canicattì.
Non poteva essere scelta data migliore per l’inizio di un cammino che, in comunione con la Chiesa universale, la Chiesa agrigentina si propone di rinnovare davvero, alla radice, il vissuto concreto della Comunità, con una revisione a 360 gradi della pastorale diocesana, così come ottimamente delineato da don Gaetano Montana, nella sua lunga relazione, con dovizia di particolari, per incarico dell’arcivescovo Alessandro.
Una relazione questa di don Montana, davvero interessante, che ha polarizzato l’attenzione di molti, fisicamente presenti e/o forse ancora di più tanti altri che telematicamente collegati hanno seguito.
Perché nella linea dell’indirizzo di don Alessandro, il relatore ufficiale don Montana, ha suggerito a tutti fiducia e realismo.
E don Gaetano Montana, forse non è superfluo ricordarlo, da un buon trentennio, ha vissuto la vita diocesana e la pastorale da ruoli sempre apicali, cioè in ruoli di notevole responsabilità. Il che rende più autorevoli le sue considerazioni, anche quando coraggiosamente ha tracciato, seppur a grandi linee, ma con battute significative, un quadro dell’attuale situazione, invitando nel prosieguo, ad evitare anzitutto il rischio dell’immobilismo, unitamente al formalismo, cosi come la scorciatoia della gratificante riuscita di alcuni eventi di facciata, quasi per sfuggire alla cruda realtà, magari vanificando ed offendendo così , eventualmente, in questo modo, il messaggio muto ma forte che viene dal reliquiario del beato martire Livatino, che mostra la camicia intrisa di sangue.
Di conseguenza il traguardo che dalla relazione Montana emerge è quello di un forte augurio che si possa finalmente avviare il cammino sinodale per una Chiesa agrigentina davvero missionaria. Una Chiesa che attingendo all‘amore fontale di Dio’ sia – come dice Papa Francesco – una Chiesa in uscita, con quel dinamismo propriamente missionario che scaturisce dall’amore di Dio, e che attraverso l’incontro con Gesù dà un nuovo orizzonte alla vita. Una Chiesa poi “samaritana, misericordiosa e solidale” che valorizzando i principi-cardine della DSC affronti la sfida attuale dei nuovi modelli di uno sviluppo, equo, solidale ed ecologicamente sostenibile.
E Dio sa allora di quanto bisogno ci sia nella Chies agrigentina di una Chiesa “samaritana” che sappia anche curare le ferite pure provocate da una mancata sinodalità.
Per tutto questo allora è davvero necessario riscoprire e soprattutto vivere ed attuare la sinodalità, perché come ha sintetizzato bene, a caratteri cubitali, L’Amico del Popolo, presentando il messaggio di don Montana, “Non c’è Chiesa senza sinodalità”.
E nel passato, quando questo valore non è stato valutato e tenuto nel dovuto conto da chi stava in alto e chi stava in basso. In pratica abbiamo mancato tutti.
E sicuramente, anche se, come ci ripeteva in tempi preconciliari un nostro, stimato docente di teologia, “avere compagni in dolo, non è un gran consolo”, ciò – (dobbiamo riconoscere) – non è avvenuto solo in terra agrigentina.
Al punto che Papa Francesco, sicuramente non per la Chiesa Agrigentina, ma per la Chiesa universale, ha voluto un Sinodo sul Sinodo. Che può sembrare superficialmente un gioco di parole! ma che in realtà non lo è, perché così si vuole sottolineare, senza possibilità di equivoci, la necessità si una riflessione corale, davvero da parte di tutti, “in capite et in menmbris”, una riflessione salutare sul valore fondante del cammino sinodale per essere davvero la Chiesa di Gesù.