Si aprono nuovi scenari dopo che il prefetto di Agrigento, Dario Caputo, ha disposto una certificazione antimafia interdittiva nei confronti della società Girgenti Acque che gestisce la distribuzione dell’acqua in 27 comuni dell’agrigentino. Il provvedimento determina la revoca degli affidamenti, il blocco delle gare in corso e l’affidamento della gestione acque e dei depuratori a un commissario. La società a gennaio scorso finì sotto i riflettori per un’indagine della Procura di Agrigento che ipotizzò assunzioni di familiari di politici e amministratori pubblici in cambio di favori. Tutti dentro, come definì la vicenda il nostro giornale (Leggi anche). L’inchiesta, infatti, coinvolse 73 persone tra cui il presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella, l’ex prefetto di Agrigento Nicola Diomede, l’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo, deputati ed ex deputati, politici agrigentini, dirigenti pubblici, giornalisti e avvocati. Agli indagati vennero contestati anche truffa, corruzione, riciclaggio e inquinamento ambientale.
Ma cosa accadrà adesso ?
Sicuramente, questo è certo, il primo passo che farà la società è quello del ricorso al TAR.
Poi, se il Presidente dell’Anac concorda, potrebbe essere nominato un commissario per la gestione della convenzione in corso con l’ATI di Agrigento ai fini della gestione dei servizi idrici .
Intanto, il fatto nuovo è il diverso atteggiamento dell’attuale Prefetto di Agrigento rispetto al predecessore, il quale, con garbo ma a chiare lettere – specifica che può decidere in perfetta autonomia e sganciato dagli esiti dei processi.
Ed infatti scrive: “Nel pieno rispetto della competenza e dell’autonoma valutazione della magistratura nel merito della decisione, questa Prefettura, quale autorità amministrativa preposta alla prevenzione antimafia, ha doverosamente dedicato attenzione all’esame della mole di atti, informazioni e dati raccolti dalla Dia in sede di formulazione della proposta. Tale revisione critica è stata accompagnata ed integrata dall’espletamento di ulteriori, circostanziati approfondimenti ed aggiornamenti, ritenuti indispensabili per una completa e serena valutazione delle circostanze di fatto e dei profili giuridici da prendere in considerazione ai fini della decisione. L’impossibilità di provare la responsabilità in sede penale non preclude affatto, all’autorità preposta all’ordine pubblico, la valutazione dei medesimi fatti sul differente piano della prevenzione e della difesa sociale, qualora, esaminato il quadro complessivo, gli elementi acquisiti siano rivelatori del rischio concreto di condizionamento dell’impresa da parte della criminalità organizzata”.
Ed aggiunge: “Si ritiene che il complesso degli elementi e dei dati raccolti, delle indagini della magistratura e delle risultanze delle attività delle Forze di Polizia, sufficientemente indicativo, seppur non esaustivo, delle condotte di Marco Campione, induca a ritenere attuale, nell’odierna architettura aziendale della società Girgenti Acque S. p. A., la presenza degli indicatori individuati dal D. Lgs. 159/2011. Sotto questo profilo, non va sottaciuto che il concetto di attualità del pericolo di infiltrazione mafiosa, tendente a condizionare le scelte e gli indirizzi della società, si caratterizzi autonomamente e si distingua da quello di novità, imponendo la valutazione più approfondita possibile di ogni elemento sintomatico della permanenza e della concretezza del rischio. Sul piano della valutazione personale, inoltre, lo stesso Tribunale di Agrigento, nel rigettare – il 4 febbraio 2016 – la proposta di applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali nei confronti dell’interessato, ha riconosciuto la fondatezza sia pure di un “mero sospetto” della pericolosità sociale di Campione. Tale sospetto, benché ritenuto insufficiente in sede giurisdizionale ai fini repressivi e sanzionatori ivi previsti, non può tuttavia essere trascurato in questa sede, in cui è necessario prendere in considerazione i medesimi elementi sul piano – affatto diverso – della prevenzione e della tutela della sicurezza del sistema socio-economico, demandate dalla legge alla competenza delle Prefetture”.
L’informativa antimafia costituisce uno dei principali strumenti di contrasto al coinvolgimento di organizzazioni criminali nell’ambito dei rapporti economici tra Pubblica Amministrazione e privati.
Nel dettaglio, l’interdittiva comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire, che risulti «affidabile») e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge (v. Cons. Stato, sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743).
Come bene evidenziato dalla giurisprudenza, l’informativa in esame ha natura “cautelare e preventiva”: in un’ottica di bilanciamento tra la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, da un lato, e la libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.), dall’altro, essa mira a prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa tesi a condizionare le scelte e gli indirizzi della Pubblica Amministrazione, tanto a garanzia del buon andamento, dell’imparzialità e della legalità dell’Amministrazione, nonché della leale concorrenza nel mercato e del corretto utilizzo di risorse pubbliche (v. Cons. Stato, sez. III, 31 dicembre 2014, n. 6465).
Nel corso del presente Dossier si avrà modo di affrontare i caratteri principali dell’istituto, approfondendo altresì le principali questioni affrontate recentemente dalla giurisprudenza amministrativa.
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