oprio così un dono per la Chiesa tutta, che lo presenta modello esemplare di virtù cristiane praticate nella vita quotidiana. Una vita, quella del giudice Livatino, segnata da un costante impegno a compiere, libero da ogni compromesso, il suo dovere nell’esercizio della sua professione, fino al martirio. Un martire della giustizia, (come ebbe felicemente a sintetizzare il santo pontefice Giovanni Paolo II) ed indirettamente della fede, da cui egli quotidianamente traeva la forza necessaria a resistere al male ed al peccato.
E precisato quanto sopra, ovvio riconoscere che poi questo diventa un dono particolare e prezioso per la Chiesa agrigentina, e particolarissimo per la Comunità ecclesiale di Canicattì, che è uno dei 43 Comuni dell’arcidiocesi. La città dove Livatino è nato, è stato educato e si è formato, maturando la sua personalità spirituale e cristiana, in famiglia, a scuola ed in parrocchia.
Ed a proposito, mi piace ricordare che il giovane Livatino oltre ad essere stato battezzato era stato ammesso in tenera età pure alla prima Comunione, ma ha ricevuto il sacramento della Cresima successivamente, quando era già laureato, frequentando regolarmente tutti gli incontri del Corso di preparazione degli adulti. Così come ha avuto modo di riferirmi il Parroco del tempo don Li Calzi, “con lodevole e somma puntualità” , come del resto faceva la domenica partecipando sempre alla celebrazione della S. Messa.
Una maturazione graduale e complessiva, quella del giovane Livatino, da tutti i punti di vista, da quello evangelico e cristiano-cattolico, a quello civico, politico e religioso.
Ed in questo iter, a Canicattì il giovane Livatino ha sfruttato con la guida dello Spirito una lunga tradizione di fede, ravvivata negli ultimi secoli dalla nobile figura di un frate francescano-cappuccino, P. Gioacchino La Lomia, che nato ricco in una delle famiglie più facoltose nel marzo 1831, liberandosi dalle tante effimere lusinghe del tempo si è lasciato evangelicamente conquistare da Madonna-povertà; e da frate, impegnandosi sino allo stremo nella predicazione a Canicattì ed in tanti Comuni vicini, ha concluso santamente la sua vita nel luglio 1905. La sua tomba riposa nella Chiesa legata al Convento della Madonna della Rocca a Canicattì, meta continua di tanti devoti che, durante tutto l’anno, vengono da ogni parte, per rendere omaggio all’uomo di Dio e trovare nuova forza per vivere la propria fede.
In questa terra di Canicattì, città divenuta famosa negli anni passati per l’uva-Italia, con tutto quello che non solo positivamente, ma anche negativamente questo ha significato per la sua vita civile ed economica, ecco la maturazione proprio in questi anni di boom economico canicattinese, la maturazione della personalità del nuovo beato Rosario Angelo Livatino, che – non pare azzardato inserire – nel quadro complessivo della spiritualità cittadina, profondamente segnata dal venerabile P. Gioacchino La Lomia.
Del Quale chi scrive ricorda bene la solenne commemorazione del 50° della morte nel luglio 1955, con grande partecipazione sentita di popolo che ha presenziato all’inaugurazione del monumento innalzato nella piazza principale della Città per interessamento delle Autorità cittadine del tempo; cioé del sindaco l’on. Giuseppe Signorino e dell’ arciprete Mons. Vincenzo Restivo.
Rosario Livatino nel luglio 1955 aveva poco meno di tre anni e sicuramente la sua fanciullezza e giovinezza è avvenuta – (perché non pensarlo !?) – nel clima di un rinnovato impegno di fervore spirituale che la solenne consacrazione della città di Canicatti alla Madonna Immacolata nell’Anno Mariano 1954 e nel fervore religioso del ricordo del 50° della morte del frate cappuccino, verso il quale continua a nutrirsi tanta devozione a Canicattì e non solo.
Alla luce di tutto questo, mi pare davvero fuor di posto la “polemica” di cui i social riferiscono in questi giorni, mostrando in contrapposizione l’Autorità religiosa locale, rappresentata dall’arcivescovo-metropolita card. don Franco Montenegro e dal Sindaco di Canicattì Di Ventura col Consiglio Comunale.
Personalmente mi piace pensare, (ma in fondo ne sono convinto !), che le parole di don Franco, oltre ad essere obiettivamente una salutare provocazione dal punto di vista pastorale, … nulla, proprio nulla, sicuramente vogliono essere per mettere in secondo piano (o addirittura oscurare e soffocare!) il forte desiderio di riscatto della Comunità canicattinese. Anzi !…..
Chiarito comunque che Canicattì, ( pur con tutte le sue fragilità, ha favorito la formazione di personalità evangelicamente esemplari) ha diritto di far sentire la sua voce, …..sicuramente, in un dialogo sereno e fecondo, sarà trovato il modo come risolvere la situazione nel migliore dei modi, contemperando tutte le esigenze, così come altrove avvenuto per altre situazioni simili o addirittura più scabrose.
Intanto per il giudice Rosario Angelo Livatino il supremo Magistero della Chiesa esprime un giudizio solenne, promuovendolo agli onori dell’altare. Ed è sempre Canicattì …… (perché tacerlo?) che annovera qualche altro esempio sommamente positivo di personalità laica, che pure ha pagato con la vita l’ impegno contro il malaffare, come il giudice Antonino Saetta (un laico eroico,… magistrato scomodo nemico dichiarato dei centri di potere), da mettere accanto a Falcone e Borsellino. Laici verso i quali l’Italia Repubblicana, e non solo la Chiesa, ha un immenso debito di gratitudine.
Diego Acquisto