Da quando il servizio idrico è stato privatizzato, il passo verso il peggioramento delle condizioni è stato inevitabile. Prima Girgenti Acque, poi Aica: una successione di nomi che, seppur diversi, raccontano la stessa storia di inefficienza, fallimenti e scarsa attenzione verso i bisogni fondamentali della cittadinanza. Se il servizio idrico è un diritto primario, quello che stiamo assistendo è un continuo calo della qualità dei servizi, sempre più lontani dalle esigenze di un territorio che, invece, meriterebbe una gestione degna di tale nome.
Dai pennelli al mare, come si è ironicamente detto per anni, al non funzionamento dei depuratori, fino alla crisi idricache ha colpito la città di Agrigento, Capitale della Cultura 2025. Ogni anno, i problemi si moltiplicano, eppure poco cambia. La città simbolo della cultura siciliana, che ha visto il suo nome scritto a lettere d’oro in occasione del riconoscimento nazionale, è costretta a fare i conti con una situazione che non solo danneggia la qualità della vita dei suoi abitanti, ma mina anche l’immagine di una terra che meriterebbe ben altro. Il turismo, motore fondamentale di Agrigento, si ritrova così invaso da carenze idriche e scandali legati a un appalto importante: quello per il rifacimento della rete idrica, dove non mancano ombre di malversazioni, con inchieste giudiziarie che ne hanno segnato l’ombra.
Il presidente di Aica, Settimio Cantone, a margine di una conferenza, ha dichiarato di voler “rimettere il mandato nelle mani di chi, due anni fa, ci ha eletto all’unanimità”. Un’auto-rinuncia che sembra più un tentativo di scaricare la responsabilità su chi non è stato capace di fare il proprio dovere. Il Consiglio di amministrazione di Aica non si è dimesso formalmente, ma si è rimesso alla decisione dell’assemblea dei sindaci. Tra le opzioni, una sembra quella più probabile: il commissariamento dell’azienda. Ma se questa è la risposta che ci si attende, è altrettanto chiaro che non è la soluzione definitiva al problema. Le alternative, come una revisione parziale del CdA, potrebbero risolvere solo il problema della poltrona del presidente Cantone, ma non quello ben più grave della gestione inefficace dei servizi.
Siamo di fronte a un’azienda che, oltre a gestire un debito di quasi 20 milioni di euro, ha visto il pignoramento di oltre 2 milioni da parte di Siciliacque, un segno tangibile della crisi che la travolge. A tutto questo, si aggiunge l’aumento delle tariffe idriche del 5,40%, un ulteriore peso per le tasche dei cittadini agrigentini, che già affrontano difficoltà enormi.
Eppure, al di là dei numeri, c’è una domanda fondamentale: chi deve davvero pagare per l’incapacità gestionale di chi è stato chiamato a risolvere un problema, non a perpetuarlo? Il commissariamento, sebbene necessario, non è la risposta. Servono riforme vere, una gestione pubblica più efficiente e, soprattutto, un piano di rilancio che riporti il servizio idrico nelle mani di chi, non per interesse politico, ma per il bene della collettività, sappia davvero prendersene cura. La situazione è ormai insostenibile, e il tempo per un cambiamento radicale è scaduto. Agrigento, la sua provincia e i suoi cittadini meritano risposte concrete, non scelte simboliche.
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