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Home » Teatro » Trionfo al Teatro Pirandello: “Storia di una capinera” commuove Agrigento

Trionfo al Teatro Pirandello: “Storia di una capinera” commuove Agrigento

Elio Di Bella Di Elio Di Bella
3 Marzo 2025
in Teatro
gli attori del dramma verghiano

gli attori del dramma verghiano

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Nell’ambito delle celebrazioni per Agrigento Capitale Italiana della Cultura 2025, il Teatro Pirandello ha ospitato una produzione teatrale di rara intensità: l’adattamento di Storia di una capinera di Giovanni Verga, andato in scena il 1° e 2 marzo. Lo spettacolo, accolto da un pubblico entusiasta che ha gremito la sala in entrambe le recite, ha confermato la potenza di un classico capace di parlare al cuore del presente attraverso le lacerazioni dell’Ottocento siciliano

La regia di Guglielmo Ferro ha saputo trasformare il palco in un microcosmo di oppressione e desiderio

La scena, dominata da una struttura simbolica che evoca il convento-prigione di Maria (ideata da Salvo Manciagli), diventa metafora visiva delle costrizioni sociali. In essa si focalizza l’attenzione sui silenzi carichi di pathos e sugli sguardi degli attori, restituendo con maestria i tormenti di una protagonista schiacciata tra vocazione religiosa e passione terrena.
Nel ruolo della giovane Maria, Nadia De Luca ha offerto una performance di rara sensibilità, alternando con maestria la timidezza conventuale ai fremiti di una vitalità repressa. La sua capacità di tradurre in gesti minimalisti – mani che si stringono al saio, sguardi rivolti al cielo – il tumulto interiore del personaggio ha reso palpabile il conflitto tra rinuncia e speranza. Il momento culminante arriva nella scena del ritorno a Monte Ilice, dove il suo volto si illumina di un’«infantile gioia» mentre descrive la natura, per poi incupirsi bruscamente al richiamo della vocazione religiosa.

Enrico Guarneri ha rivelato tutta la complessità del sistema patriarcale ottocentesco. Nel monologo iniziale – particolarmente «straziante» – l’attore incarna la contraddizione di un genitore che, pur amando la figlia, ne diventa il carnefice. La sua recitazione asciutta ma carica di pathos raggiunge l’apice nella scena del rientro in convento, dove la postura rigida e la voce roca tradiscono un dolore tanto autentico quanto inespresso.

Pur comparendo in sole tre scene, Emanuela Muni ha lasciato il segno nel ruolo della Madre Superiora. La sua interpretazione ieratica – sottolineata da un timbro vocale metallico e movimenti calibrati – ha efficacemente simboleggiato l’implacabilità delle istituzioni religiose. Particolarmente memorabile la scena in cui, illuminata solo da un lume oscillante, decreta il destino di Maria con una freddezza che ha suscitato brividi in platea

La caratterizzazione di Nino, (Liborio Natali), emerge come un caso studio della complessità verghiana. Non semplice antagonista romantico, il personaggio incarna l’ambiguità di un sistema che trasforma persino i “vincitori” in prigionieri.Nello spettacolo, il giovane spasimante esalta le contraddizioni attraverso una recitazione oscillante tra slanci passionali («Voi siete una vittima!») e pause cariche di rassegnazione.

I costumi della Sartoria Pipi ricostruiscono con precisione storica gli abiti ottocenteschi, dal semplice saio di Maria agli eleganti abiti della famiglia borghese, mentre le musiche di Massimiliano Pace accompagnano la narrazione con motivi popolari siciliani e crescendo orchestrali che amplificano il dramma.

Le scenografie di Salvo Manciagli vanno oltre la ricostruzione storica, diventando strumento narrativo per esprimere i temi verghiani.
Il palco è dominato da una struttura metallica modulare che evoca alternativamente il convento, la casa patriarcale e il paesaggio agrario. La grata centrale, ricorrente in ogni scena, materializza le costrizioni sociali e religiose, proiettando ombre a forma di gabbia sugli attori durante i monologhi più drammatici. Gli elementi naturali in trasparenza richiamano la Sicilia rurale senza cadere nel folklorismo.
Manciagli sfrutta giochi di prospettiva e proiezioni su tenda trasparente per moltiplicare gli spazi

Il lungo applauso finale, tributato da una sala esaurita, ha premiato non solo la qualità artistica dello spettacolo ma anche la sua attualità. Il tema della libertà negata – sia per convenzioni sociali che per dinamiche familiari – risuona con forza in un’epoca che pure si crede libera. Non a caso, la scelta di inserire questo allestimento nel cartellone di Agrigento 2025 ribadisce il ruolo del teatro come spazio di riflessione critica.
In un anno in cui la città si propone come faro culturale, Storia di una capinera si conferma un gioiello di coerenza registica e profondità interpretativa, dimostrando come i classici, se ben curati, possano ancora emozionare e interrogare.

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Tags: agrigentoTeatro pirandello
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