Renzi nei templi tra speranze e rischi concreti per il Partito Democratico
Di Calogero Conigliaro
Le motivazioni che possano aver portato Matteo Renzi proprio ad Agrigento, per siglare il Patto per la Sicilia potrebbero essere anche svariate. Forse la location del tempio della Concordia che ha già attirato i fondatori di Google può esserne una, magari come ricordato da lui stesso legata anche a quello storico discorso antimafia di Papà Giovanni Paolo II, ma forse ve n’è un’altra di natura squisitamente politica.
Nelle ultime elezioni amministrative tra i colpi maggiori subiti dal PD proprio in Sicilia, ci sono state le due spaventose sconfitte di Favara e Porto Empedocle, dove i grillini hanno raggiunto percentuali superiori al 70%. Dunque è tutt’altro che improbabile che il Capo del Governo e Segretario nazionale del PD voglia dare un forte segnale di ripresa politica proprio nella sperduta terra agrigentina, ultima tra le ultime in tutti gli indicatori economici.
La terra di Pirandello che presenta il paradosso di ricchezze archeologiche ed ambientali straordinarie è affiancata però da una povertà di lavoro tale che ormai l’immigrazione verso l’estero è ripartita con punte che non si vedevano dal secondo dopoguerra, altro che 20 mila posti in più negli ultimi tempi, annunciati da Crocetta durante la cerimonia.
La firma del Patto per la Sicilia vuole allora essere, un tentativo per far sì che l’occupazione e la ripresa possano ripartire proprio da questa terra.
Come segnale è importante, ma non si è realisti nel pensare che possa ripartire l’economia da questi soli provvedimenti per di più annunciati più volte e mai partiti.
Per farlo servirebbero diversi interventi, come il poter garantire un futuro alle prossime generazioni con qualcosa di più sostanzioso del piano giovani, portato avanti dall’ambizioso Presidente della Regione Rosario Crocetta nel disastro generale della nostra agricoltura e della nostra edilizia, oggi entrambi al collasso nonostante le potenzialità.
Un’ambizione che secondo molti osservatori non basterà a convincere i vertici del PD a ricandidarlo alle prossime elezioni regionali del 2017.
La minaccia per il PD di una “abominevole vittoria” del Movimento 5 Stelle è cosa troppa seria, per far pensare ai dirigenti nazionali e regionali di poter continuare a balbettare sui temi dell’economia.
Sarebbe però un grave errore non comprendere come i guai del partito di governo non siano solo legati ai temi economici.
C’è un problema di individuazione seria di una nuova classe dirigente che possa essere rappresentativa del territorio ed innescare quell’entusiasmo che invece ha contagiato i gruppi politici grillini, i quali se pur inesperti hanno però dato prova di una certa vivacità, malgrado le difficoltà di ogni sorta trovate sul loro cammino.
E’ opportuno che Renzi prenda la vicenda del partito siciliano di petto, occupandosi della miriade di faide interne che hanno fatto sì che spesso l’interesse del partito, fosse secondario rispetto a logiche di potere personali.
Oggi in Sicilia più che di un PD, si può parlare di una costellazione di realtà politiche costantemente in “guerra” tra loro, come vedesi nella nostrana provincia agrigentina!
Il tutto senza nessun interesse a valorizzare quelle risorse umane, su cui si potrebbe tentare di ritrovare l’unità perduta.
Le forze fedeli al comico genovese Grillo che potrebbero apparire di sola protesta, ben presto superate le prime difficoltà, dovute all’inesperienza amministrativa ed organizzativa, potrebbero venire a concretizzarsi in un serio tentativo di superamento della realtà politica esistente.
Per tale ragione la conquista di Palazzo d’Orleans potrebbe divenire un fatto realmente temibile, ecco perché il tempo di scherzare nel PD siciliano deve finire.
Il difficile è che questo debba avvenire dopo una serie di passi indietro che gli uomini di potere dovrebbero necessariamente compiere, a favore di personalità che a parte la tessera del partito e qualche copia di giornale di sinistra, possano anche mostrare autorevolezza, stima ed intelligenza politica.
Un fatto facile a dirsi, molto più difficile a compiersi!
Forse allora per il Matteo nazionale l’era delle amare sorprese potrebbe continuare, sino a perdere il granaio siciliano di voti tanto caro per lui, Angelino ed ancor più a Silvio. Il tutto senza che gli scivoloni della Raggi a Roma possano divenire qualcosa di perpetuo, tanto da ripercuotersi sino alla prossima campagna elettorale.
Quindi il PD o si rinnova, ed il Governo Regionale riesce a far decollare i tanto attesi bandi europei, oppure vicende elettorali come Porto Empedocle e Favara, potranno diventare esempi possibili a Palermo come a Roma e questa volta con ripercussioni non solo al Campidoglio, bensì sino a Palazzo Chigi. Il tutto nella speranza che i futuri possibili inquilini sappiano poi dove andare a mettere le mani coscienti che una cosa è la militanza politica, mentre cosa diversa è la vita istituzionale.
Calogero
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