AGRIGENTO. Il pentito di mafia, Giuseppe Quaranta, imputato ad Agrigento per abusivismo edilizio, scagiona tutti i coimputati e spiega al giudice Giuseppe Miceli di aver fatto tutto da solo.
Nell’ottobre del 2014 i carabinieri lo hanno denunciato per costruzione abusiva perché, nella sua abitazione di campagna di contrada Petrusa, al confine fra Agrigento e Favara ma nel territorio del capoluogo, è stato scoperto un abuso edilizio che sarebbe stato ancora più grosso se non fosse stato bloccato quasi sul nascere dall’intervento delle forze dell’ordine che hanno messo i sigilli e fermato i lavori. I militari hanno fatto un sopralluogo nella villa e hanno trovato una piattaforma di calcestruzzo di 110 metri quadrati del tutto abusiva su cui Quaranta avrebbe voluto realizzare una piccola casa.
«L’avrei fatta fare solo con dei forati, un’abitazione piccolina di campagna – ha spiegato al giudice – per trascorrere alcune settimane nel periodo estivo con la famiglia». Insieme all’attuale collaboratore di giustizia sono stati denunciati la moglie Carmela Signorino Gelo che avrebbe commissionato i lavori; Giovanni Graceffa il titolare dell’impresa che gli ha fornito il calcestruzzo, l’autista dell’impresa Pietro Martello e un operaio, Calogero Maglio, 50 anni di Favara. Quaranta ha scagionato però tutti: «Ho fatto tutto da solo, volevo fare una sorpresa a mia moglie facendole trovare una casetta di 70-80 metri quadrati per l’estate. Invece sono venuti i carabinieri e siamo qua». Il collaboratore di giustizia ha ribadito il concetto: «Nessuno sapeva che le opere non erano state autorizzate». Quaranta ha spiegato che, dopo la notifica del sequestro da parte dei carabinieri che hanno bloccato il cantiere, fu chiesta la concessione edilizia. «L’architetto mi disse che non era stata concessa perché chiesta in ritardo».
Prima dell’audizione del pentito imputato sono stati ascoltati due tecnici che hanno curato la pratica dopo il sequestro da parte dei carabinieri. Il geometra Giuseppe Milia, in servizio all’ufficio tecnico del Comune di Agrigento, ha spiegato di essere andato insieme ai carabinieri «ad eseguire delle misurazioni dopo che ne era stato disposto il sequestro, per quell’opera era stata emessa un’ordinanza di demolizione».
Dopo l’audizione di Quaranta, difeso dall’avvocato Gloria Lupo che assiste anche la moglie, gli altri imputati (difesi dagli avvocati Giuseppe Barba e Tanja Castronovo) hanno rinunciato a farsi interrogare. Il processo riprende il 10 luglio per la requisitoria del pm Calogero Montante e le arringhe difensive.
Quaranta, per la prima volta in un’aula di tribunale, ha accennato ai motivi della sua collaborazione. Nell’unica sua precedente apparizione in aula, nei giorni scorsi, quando è stato chiamato a testimoniare al processo «Icaro», non ne aveva fatto cenno. «Dopo l’arresto nell’operazione Montagna, lo scorso 22 gennaio, – ha spiegato – ho deciso che dovevo cambiare vita e la dovevo far cambiare alla mia famiglia. Non si poteva più andare avanti in quel modo».