La scena è semplice, quasi disarmante: una chiesa piena di bambini, voci che cantano, fogli colorati stretti tra le mani, genitori in piedi lungo le navate. È Natale, ad Agrigento. E, senza proclami né forzature, una scuola pubblica entra in chiesa.
Succede al Plesso Montessori dell’Istituto Comprensivo “Rita Levi Montalcini”, una delle realtà scolastiche più frequentate della città. Succede perché qualcuno ha scelto di non imporre, ma di lasciare liberi. E la libertà, a volte, fa più rumore di qualsiasi obbligo.
«La scuola è laica – dice il dirigente scolastico Luigi Costanza – e ne siamo convinti. Ma nessuno è stato obbligato a venire». Parole nette, che non cercano alibi né scorciatoie. E che trovano una risposta non nei comunicati, ma nei fatti: San Leone gremita, studenti di tutte le classi, famiglie presenti, nessuna polemica sul posto, nessuna tensione. Solo partecipazione.
Il Natale, qui, non è stato un precetto imposto, ma una scelta condivisa. Recite, canti, letterine, buoni propositi: il lessico dell’infanzia che incontra lo spazio simbolico di una comunità. Con il parroco don Maurizio Di Franco ad accogliere, senza invadere. Senza “educare” nessuno, se non al valore dello stare insieme.
E allora la domanda si fa inevitabile: dov’è il problema?
Perché se una scuola laica diventa improvvisamente sospetta quando entra in chiesa, forse il nodo non è la laicità, ma la paura di ciò che non sappiamo più nominare. La paura di ammettere che la tradizione, quando non è obbligo, può essere cultura. Che il rito, quando non è imposizione, può essere linguaggio. Che l’identità, quando non esclude, può diventare spazio comune.
«Viviamo in una società in cui nulla è scontato – aggiunge Costanza – e che spesso sa essere cattiva». È una frase che pesa. Perché racconta un tempo in cui si grida alla libertà solo per negarla agli altri, in cui si censura in nome dell’inclusione e si divide in nome della neutralità.
Il dibattito, infatti, resta acceso. C’è chi rifiuta ogni riferimento al Natale nelle scuole, come se fosse una colpa da nascondere. E c’è chi, come il Liceo Classico Empedocle, celebrerà il precetto in Cattedrale, rivendicando una tradizione che non chiede il permesso di esistere.
Ma forse il vero discrimine non è tra chiesa sì o chiesa no. È tra ipocrisia e onestà. Tra chi usa la laicità come scudo ideologico e chi, invece, la vive come garanzia di libertà reale.
Perché una scuola che non obbliga, che non seleziona, che non divide, ma propone, educa più di mille circolari. E una chiesa piena di bambini, oggi, non è una vittoria confessionale. È una domanda aperta rivolta a una società che ha smesso di interrogarsi.
Il Natale, forse, non è entrato a scuola.
Forse è la scuola che, per un attimo, ha avuto il coraggio di uscire dalle sue paure.
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