
Maria Mesi, l’ex amante del boss Matteo Messina Denaro, e il fratello Francesco Mesi, già condannati nei primi anni 2000 per il favoreggiamento del capomafia, sarebbero nuovamente iscritti nel registro degli indagati con l’accusa di aver favorito la latitanza del padrino di Castelvetrano arrestato il 16 gennaio scorso. Questa mattina i carabinieri del Ros hanno perquisito l’abitazione della donna e del fratello Francesco, due case in una palazzina di via Milwaukee a poca distanza dall’alcova di un tempo. Passate al setaccio anche la torrefazione Agorà della famiglia Mesi e una casa di campagna. I militari avrebbero portato via computer e telefoni sospettando che la donna e il fratello mantenessero ancora contatti con il padrino, attraverso la sua famiglia.
Con le perquisizioni delle abitazioni degli antichi favoreggiatori gli investigatori proseguono dunque nel tentativo di ricostruire la lunga latitanza del boss. In cella sono già finiti Andrea Bonafede, il geometra di Campobello di Mazara che gli ha prestato l’identità, e Giovanni Luppino, l’incensurato che ha accompagnato il boss alla clinica Maddalena nel giorno dell’arresto. Uno accusato di associazione mafiosa, l’altro, come i Mesi, di favoreggiamento.
E prosegue anche l’analisi delle immagini registrate dalle videocamere di sorveglianza installate a Campobello di Mazara, grazie alle quali è emerso che la Giulietta acquistata di persona dal boss a Palermo è stata ripresa sia sabato 14 gennaio sia domenica 15, un giorno prima dell’arresto. Il legale di Luppino, nei giorni scorsi, ha fatto sapere di aver presentato istanza di scarcerazione del cliente al tribunale del Riesame. La tesi difensiva è che “l’autista” dell’ex latitante ne avrebbe ignorato la vera identità, l’avrebbe conosciuto col nome di Francesco solo qualche mese prima e l’avrebbe rivisto la mattina stessa del blitz, quando il boss si presentò a causa sua per chiedergli un passaggio per il centro medico dove doveva fare la chemio. Una ricostruzione a cui i magistrati non credono.