Si celebrerà il prossimo 18 giugno, davanti ai giudici della quarta sezione penale della Corte d’Appello di Palermo (presieduta dal giudice Giacomo Montalbano), il processo di secondo grado nei confronti di Leo Sutera, alias “u prufissuri”, 70 anni, di Sambuca di Sicilia, uomo d’onore di Sambuca di Sicilia, presunto capo provincia di Cosa Nostra agrigentina, e dei suoi tre fiancheggiatori, anche loro sambucesi. In primo grado furono tutti condannati i quattro gli imputati: Leo Sutera, alla pena di 18 anni di reclusione; a tre anni di reclusione ciascuno, invece, la fioraia di Sambuca di Sicilia Maria Salvato, 45 anni, l’autista di Sutera, Vito Vaccaro, 57 anni, e l’imprenditore Giuseppe Tabone. Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Angela Porcello, Carlo Ferracane, Mauro Tirnetta, Giovanni Vaccaro, Sergio Vaccaro, Piero Marino e Luca Cianferoni.
Sutera è accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso, mentre Vaccaro, Salvato e Tabone devono rispondere di favoreggiamento personale aggravato, dall’avere agevolato la mafia. L’inchiesta della Dda di Palermo, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Guido, e dai sostituti procuratori Claudio Camilleri, Calogero Ferrara e Alessia Sinatra, è stata condotta sul campo dai poliziotti Squadra Mobile della Questura di Agrigento. Il capomafia sambucese, che ha fatto parte della cerchia ristretta dei soggetti in contatto con il latitante trapanese Matteo Messina Denaro, è stato tratto in arresto lo scorso 28 ottobre del 2018, in esecuzione di un decreto di fermo di indiziato di delitto emesso a suo carico dalla Dda di Palermo. Successivamente è stato raggiunto da una nuova ordinanza a completamento di un’articolata attività di indagine iniziata nel 2015, in territorio agrigentino, che ha consentito di ricostruire gli interessi criminali di Sutera e le responsabilità dei suoi presunti fiancheggiatori.
Sutera avrebbe impartito direttive attraverso la costante partecipazione a riunioni ed incontri con gli altri associati e presieduto a tutte le relative attività ed affari illeciti, curando la gestione delle interferenze nella realizzazione delle opere oggetto di appalti ed opere pubbliche, nonché assicurando il collegando con altre articolazioni territoriali di Cosa nostra. Il boss di Sambuca di Sicilia avrebbe potuto contare sull’apporto di Giuseppe Tabone, Maria Salvato e Vito Vaccaro “particolarmente attivi nell’aiutare il capomafia aiutandolo ad eludere le indagini, salvaguardandone gli spostamenti e la comunicazione”.
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