I giudici della Cassazione, in conferma del verdetto del Tribunale di Sorveglianza di Caltanissetta, hanno rigettato il ricorso, con la richiesta della sospensione della pena detentiva, proposto dal canicattinese Santo Gioacchino Rinallo, 60 anni, in passato esponente di spicco della “Stidda” di Canicattì, già condannato all’ergastolo per il duplice omicidio dei fratelli di Palma di Montechiaro, Rosario e Carmelo Ribisi.
Rinallo, con oltre venti anni di carcere, dal settembre del 2017, è ammesso a scontare la pena in regime di semilibertà. Proprio perché sottoposto alla misura alternativa – secondo la difesa – vi sarebbero stati i presupposti, anche se non ancora completato, di un percorso di pieno ravvedimento del canicattinese.
Una tesi che non ha trovato d’accordo i giudici ermellini, che hanno respinto la richiesta, in quanto pur dovendosi dare atto della regolare condotta tenuta in carcere da Rinallo, e, da ultimo, in ambiente esterno, non vi è allo stato prova di una effettiva e totale dissociazione dal proprio vissuto criminale e appartenenza alla mafia.
Santo Gioacchino Rinallo, unitamente a Giovanni Marco Avarello, e Antonio Gallea (anche loro condannati al carcere a vita), nel lontano 1989, erano i componenti di un commando che ha ammazzato i fratelli Rosario e Carmelo Ribisi, nell’ambito della guerra di mafia tra stiddari, e famiglie di Cosa nostra di Palma di Montechiaro.