Alla presenza del prefetto di Agrigento, Filippo Romano, del direttore del Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi, Roberto Sciarrata e delle massime autorità civili e militari è andato in scena ieri sera, al Palacongressi di Agrigento, “Con il vostro irridente silenzio”.
Lo spettacolo, ideato ed interpretato da Fabrizio Gifuni, ha ricostruito, attraverso lo studio sulle lettere e sul memoriale di Aldo Moro, i 55 giorni di prigionia del grande Statista italiano, dalla strage di Via Fani (16 marzo 1978) al sequestro ad opera delle Brigate Rosse, fino alla condanna a morte e al ritrovamento del suo cadavere, il successivo 9 maggio.
Si è trattato, come ha detto lo stesso autore, di un “esperimento teatrale”; un confrontato con lo scritto più scabro e nudo della storia d’Italia, attraverso un doloroso e ostinato lavoro di drammaturgia.
Scenografia essenziale e luci che cambiano intensità seguendo il crescendo della sofferenza umana e fisica che la penna di Moro di volta in volta descrive.
Al centro del palco delle linee a terra disegnano un rettangolo che “imprigiona” un tavolo, fogli sparsi ovunque e un pugno di cenere con la quale Gifuni, in camicia bianca e pantalone scuro, con sacralità, si cosparge il capo prima di entrare nel personaggio.
L’attore alla fine dello spettacolo appare stremato: due ore di intenso monologo nel quale ha letto con fluidità e recitato con pathos, le missive che Aldo Moro, dalla prigionia, ha scritto alla moglie Eleonora, ai figli Maria Fida, Agnese, Anna e Giovanni e al nipote Luca.
E poi quelle indirizzate, tra gli altri, agli “ex amici” di partito: al segretario della DC Benigno Zaccagnini, al ministro dell’Interno Francesco Cossiga, al presidente del Consiglio Giulio Andreotti, al Pontefice Paolo VI.
L’evento, che ha inaugurato la stagione di prosa del Palacongressi Festival, con la direzione artistica di Gaetano Aronica, ha anche registrato un piacevole fuori programma.
Gifuni, come sappiamo, ha origini agrigentine. Il nonno materno infatti era nato e cresciuto a Grotte. Per questo motivo il Sindaco della Città, Alfonso Provvidenza, gli ha voluto consegnare una targa ricordo e la copia del certificato di nascita del nonno: “ A Grotte c’è una parte delle mie radici”, ha commentato l’attore visibilmente emozionato.
Una serata che ha emozionato il pubblico, nonostante il brusio proveniente dalla platea che ha disturbato non poco (ndr). L’attore in qualche occasione è stato pure interrotto dagli applausi di qualche studente.
Lo spettacolo ha avuto una breve introduzione che ne spiega la genesi e che noi vogliamo riportare in questa breve intervista:
Definisce lo spettacolo un esperimento teatrale necessarionato dall’esigenza e dall’urgenza di avere qualcosa da dire che non può essere taciuto, che non deve essere taciuto. Mi piacerebbe conoscere come ha costruito questo lavoro dal punto di vista drammaturgico?
“Da uomo di teatro ho molta fiducia nei testi e nella parola. Credo che queste carte ci aiutino, più di ogni altra cosa, a capire meglio cosa accadde in quel momento cruciale della nostra storia. L’assassinio di Aldo Moro sta alla nostra storia come l’assassinio di Kennedy a quella americana. Quella di Aldo Moro è una vicenda su cui sono state scritte migliaia di pagine dando vita ad una vera e propria emeroteca di Babele in cui è facile perdersi. Per questo motivo ho pensato che tornare a queste carte fosse la cosa più semplice. Decidere di condividerle con i cosiddetti spettatori, che per me sono parte attiva di un piccolo rito che da più di 2500 anni si celebra nei teatri, qualcosa che passa attraverso l’esperienza viva di corpi. Tutto questo fa oggi dei teatri dei luoghi sacri, dei recinti che dovrebbero essere protetti proprio perché fuori c’è tanto rumore e poco ascolto e, soprattutto, c’è poco spazio per condividere un momento di riflessione emotiva”.
È stato difficile calarsi nel personaggio?
“Come personaggio ho incontrato più volte Moro nel mio cammino. La prima volta è stato con Marco Tullio Giordana nel film Romanzo di una strage, dedicato alla strage di Piazza Fontana, dove io interpretavo un Moro più giovane che nel 1969 era Ministro degli Esteri. Nel 2018, poi, inizio questo percorso in teatro con le carte di Moro, lavoro che Marco Bellocchio è venuto a vedere a teatro mentre stava preparando la serie Esterno Notte che è poi diventata un progetto cinematografico. Marco è rimasto molto colpito dallo spettacolo e mi ha chiesto di proseguire insieme il lavoro e interpretare Aldo Moro”.
“Con il vostro irridente silenzio”, è una frase scritta da Moro in una delle sue ultime lettere indirizzata ai suoi compagni di partito. Perchè ha scelto questo titolo?
“Quello che Moro scrive in quei 55 giorni sono circa un centinaio di lettere, alcune brevi disposizioni testamentarie e un testo di straordinaria importanza che va sotto il nome di Memoriale Moro e sono tutte le risposte che Aldo Moro diede durante il cosiddetto processo rivoluzionario nella prigione del popolo. In quei giorni Moro scrive e si esprime con una chiarezza e con una lingua straordinariamente potente, ricca e piena di immagini e di suggestioni. Sono le parole di un grande uomo di Stato a cui stanno stringendo un cappio intorno al collo. All’interno di questa lingua sorprendente Moro usa spesso delle espressioni memorabili; una di queste, tenuta in una delle ultime lettere che scrive al segretario della DC, è “Con il vostro irridente silenzio avete offeso la mia persona, la mia famiglia…”. Questa è la storia di un grande tradimento shakespeariano; Moro si sente profondamente tradito da quelli che lui definisce ex amici. Una delle cose contro cui urlava dalla prigione era, appunto, questo silenzio assordante con cui venivano accolte le sue parole”.
Perché è importante il valore della memoria?
“Nel prologo racconto la storia di queste carte che, sostanzialmente, rimangono nascoste fino a dopo il crollo del muro di Berlino. Improvvisamente appaiono nel 1990 dietro un pannello di cartongesso in un appartamento di Milano. Quando queste carte diventano pubbliche cadono in un secondo irridente silenzio; però questa volta il silenzio riguarda noi, la comunità italiana che non ha più avuto voglia di leggere e di ascoltare queste carte, come se queste carte venissero da un passato lontano o perduto, come se queste carte non avessero più niente a che fare con l’Italia di oggi. Credo che ci siamo piegati, molto docilmente, a qualcosa che ci è stato detto con una certa insistenza, che la memoria di questo Paese è una cosa abbastanza inutile, una cosa che ci può confondere le idee, una cosa divisiva. Credo che riallacciare i fili con quelle carte e in generale con la nostra memoria ci aiuti a comprendere meglio il nostro presente e magari il nostro futuro”.
Luigi Mula