Non ci sono ancora notizie chiare a proposito della regolamentazione della cannabis. Nei giorni scorsi, infatti, la presidenza delle commissioni riunite Affari Costituzionali e Bilancio della Camera ha giudicato inammissibili più di 800 emendamenti al Milleproroghe, e tra questo c’era anche quello relativo alla liberalizzazione della canapa light. L’emendamento era stato sottoscritto da circa 30 parlamentari del Pd, del Movimento 5 Stelle, di +Europa e di Liberi e Uguali. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte alla fine dello scorso anno aveva promesso che si sarebbe riusciti a trovare la quadra, ma per ora non c’è ancora niente di concreto.
Cosa succederà
Secondo gli addetti ai lavori il Milleproroghe rappresentava l’ultima speranza per fare chiarezza, mentre allo stato attuale non si sa quale potrebbe essere la sorte di tutto il settore. In ballo c’è il destino di 12mila lavoratori. Non è un caso che già numerose imprese del settore siano state loro malgrado costrette a chiudere. Nel caso in cui questo ambito non venga regolamentato in modo tempestivo, si prevede la sua fine entro la conclusione del 2020: se ciò dovesse accadere, vorrebbe dire che 12mila persone potrebbero perdere il proprio lavoro.
La crisi del lavoro
Le stime attuali indicano che su 12mila operatori più di 3mila persone sono già state lasciate a casa. Non solo: 600 imprese agricole hanno alzato bandiera bianca. Il vero dramma è per i negozi: su 2mila punti vendita distribuiti in tutto il Belpaese, a chiudere sono già stati oltre 1.200. Come è facile intuire, tutte queste persone sono destinate a restare a casa senza poter contare su uno stipendio.
Il vuoto normativo
Dal punto di vista normativo, il mercato e il settore della cannabis light sono regolamentati dalla legge 242 del 2016, che però è stata più volte messa in discussione da numerosi giuristi. Il principale oggetto di contestazione riguarda il fatto che in questa legge non si parla di commercio, ma solo di produzione. Tuttavia, è evidente che la produzione di canapa da parte di un’azienda agricola è finalizzata alla sua rivendita. Un brutto colpo è stato quello inferto dalla sentenza della Cassazione del 30 maggio dello scorso anno. Nella sentenza si legge che l’ambito di applicabilità della legge sulla filiera della canapa – la 242 del 2016, appunto – non riguarda la vendita di cannabis sativa light al pubblico. Insomma, la commercializzazione delle resine, degli oli, delle infiorescenze e delle foglie che sono state ottenute da questa varietà di canapa non è consentita dalla legge in questione.
Cosa ha deciso la Cassazione
Secondo gli ermellini, la legge 242 del 2016 indica che ad essere lecita è solo l’attività di coltivazione delle varietà consentite. Essa, inoltre, è precisa nel segnalare in modo tassativo quali sono i derivati che possono essere messi in vendita. Di conseguenza, tutte le altre condotte non possono che costituire azioni che la legge sulle droghe punisce, a prescindere dal fatto che il contenuto di THC sia più basso dello 0.6 per cento, a meno che questi derivati non risultino effettivamente senza alcuna efficacia psicotropa o drogante.
Il gap legislativo
Come sempre quello della Cassazione non è un giudizio nel merito, ma solo una presa d’atto del vuoto legislativo che caratterizza il settore in Italia in questo momento. Spetta al Parlamento, ad ora, intervenire per riempire il gap, anche se sembra che la politica non abbia molto interesse a mettere le mani in questo campo. La crisi coinvolge anche le aziende agricole, che da un lato devono fare i conti con i costi delle serre e dei terreni affittati e dall’altro non riescono più a vendere i propri prodotti.