Nel “caso Livatino”, dopo l’agguato mafioso al giudice, lungo la statale 640 il 21 Settembre 1990, vi fu un enigma che tenne impegnato il pool di investigatori della Polizia per diverso tempo. Tre lettere maiuscole scritte dal magistrato, a penna biro, sulla sua agenda tascabile. Tre lettere che all’inizio si rivelarono come un vero e proprio rompicapo. La piccola agenda del giudice venne fuori durante la prima ricognizione cadaverica nella scarpata di contrada Gasena. Il magistrato era riverso tra gli arbusti secchi, con la camicia sporca di sangue e nella ,disperata corsa nel vallone per sfuggire ai colpi dei killer aveva perso le scarpe. Nella tasca posteriore dei pantaloni, Livatino aveva con sé un piccolo libriccino nero che il giudice quella mattina portava assieme ad un fazzoletto da naso bianco, appena stirato e profumato. Era un’agendina da cui probabilmente il giudice assassinato non si separava mai. Una sorta di mini-diario strettamente personale. Lui ci segnava le cose più intime, soprattutto quelle legate alla sua fede religiosa. “Domenica sono stato a Messa con mamma e papà”. Oppure. “Questa mattina fatta Comunione”. Annotazioni scritte sull’agenda in giornate segnate in rosso sul calendario. Fervente cattolico, Rosario Livatino molto spesso, quando da Canicattì giungeva con la sua auto ad Agrigento in piazza Gallo, davanti al vecchio palazzo di giustizia, prima di salire in ufficio in Procura, soleva passare brevemente nella vicina chiesa di San Giuseppe per un momento di preghiera prima di iniziare la giornata di lavoro. Livatino non faceva mistero della sua grande fede e su quella piccola agenda segnava le sue azioni più intime, come quando andava a confessarsi o a comunicarsi. All’interno del libriccino vi erano però anche altre annotazioni legate alla vita familiare con i suoi anziani genitori coi quali condivideva l’abitazione di Canicattì. Tutto veniva da lui scritto con cura; una grafia chiara, ordinata e precisa come d’altronde era lui. In alcune pagine vi erano frasi vergate in stampatello, a volte così piccole da riuscire perfino difficile a decifrarle. Vi fu un particolare, su quell’agenda, che attirò immediatamente l’attenzione degli investigatori, in quei giorni impegnati a dare un nome ai killer e mandanti dell’omicidio mafioso. Nella prima pagina, in alto, a destra, vi erano scritte tre lettere tutte maiuscole STD. Erano scritte con la solita calligrafia del giudice e le lettere tra loro non erano staccate da alcun puntino. Che cosa poteva significare quella sigla? Forse il giudice si era segnato le iniziali di qualche nome di persona? Il padre del magistrato, il dottor Vincenzo, e la madre, Rosalia Corbo, non seppero dare alcuna spiegazione a quelle tre lettere. Nemmeno i suoi conoscenti o i più stretti collaboratori in ufficio seppero fornire una risposta al quesito. Così gli investigatori iniziarono a controllare migliaia di nomi, passando al setaccio i fascicoli di pertinenza del magistrato. Forse la risposta poteva arrivare da persone che in qualche modo avevano avuto a che fare in passato con il magistrato ucciso. Nulla. Per giorni e notti uno staff di specialisti studiò quella sigla, che del tutto incomprensibile non doveva essere, visto che era stata scritta dalla mano ferma di Rosario Livatino. Per forza di cose quelle tre lettere dovevano significare qualcosa. Il quesito da Agrigento arrivò a Roma. Esperti di enigmistica studiarono le tre lettere cercando di formulare ipotetiche parole alle quali poi dare un significato logico, ma tutto fu inutile. La risposta al quesito arrivò invece improvvisa e inaspettata, da un testo sacro latino: quella sigla STD era l’abbreviazione di una frase latina: “Sub tutela Dei”, Sotto la protezione di Dio. Il giudice probabilmente aveva notato in qualche chiesa che era solito frequentare, quella iscrizione sacra su qualche parete, e aveva voluto riportarla abbreviata sul suo diario. Il giudice assassinato, credente e osservante, aveva come unica sua protezione, il Signore nel difficile compito che svolgeva. A Lui si affidava ogni mattina Rosario Livatino quando, dopo la consueta rasatura davanti allo specchio, indossava la camicia sempre stirata dalle abili mani della sua mamma, e saliva sulla vecchia utilitaria per recarsi al lavoro al palazzo di giustizia di Agrigento. Sempre sotto la protezione del Signore!
LORENZO ROSSO
Segui il canale AgrigentoOggi su WhatsApp