Picchiata, tramortita, e poi stuprata dal proprio cognato. È quanto accaduto ad una giovane di Agrigento. I fatti risalgono a qualche anno fa, ma è di questi giorni la pronuncia dei giudici della III sezione penale della Corte d’Appello di Palermo, collegio presieduto da Antonio Napoli, che ha confermato il verdetto condanna pronunciato in primo grado, dal Tribunale di Agrigento, ed ha inflitto la condanna dell’imputato a 5 anni, e 3 mesi, di reclusione. La vittima che si è costituita parte civile è difesa dall’avvocato Francesca Dumas (nella foto).
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, e confermato durante i due gradi di giudizio, col pretesto di un passaggio in auto, la donna era stata facilmente adescata – per via della relazione familiare esistente tra i due – e condotta in una campagna isolata, dove l’uomo al rifiuto della vittima di un approccio fisico, le avrebbe strappato i vestiti di dosso, immobilizzandola e sottoponendola a violenza fisica, e sessuale. Il cognato, dopo aver abusato della donna, le avrebbe rivolto esplicite minacce, qualora avesse raccontato la vicenda. Per tale ragione la vittima, inizialmente, non ha sporto denuncia.
E’ stato poi il padre della giovane, accortosi dei lividi sul corpo della figlia, ad accompagnarla presso la Stazione dei carabinieri di Agrigento, due giorni dopo l’accaduto. Fondamentale ai fini della condanna, la ricostruzione processuale dei fatti, attraverso il drammatico racconto reso dalla vittima, ed i referti del pronto soccorso, che hanno fornito elementi specifici a conferma di quanto da lei sostenuto. All’esito dell’istruttoria dibattimentale compiuta in primo grado, e poi confermata dalla Corte di Appello di Palermo, è emersa la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, della colpevolezza dell’imputato.
“Trovo di estrema importanza – afferma l’avvocatessa Dumas – che i mezzi di informazione diano ampio spazio al racconto degli episodi di cronaca ma, allo stesso tempo, è necessario, che si ponga in evidenza la ferma reazione dello Stato che, attraverso la magistratura, persegue, e punisce gli autori di crimini così efferati. Quotidianamente ascoltiamo notizie di donne stuprate e molto spesso uccise ma quasi mai veniamo informati delle condanne inflitte ai carnefici. A mio avviso, è necessario riaffermare con forza il principio di certezza della pena, recuperando anche la funzione deterrente insita nel concetto di sanzione, unico possibile argine da opporre al dilagante fenomeno della violenza sulle donne”.
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