“Gente mia” è il titolo del libro fotografico dell’attore Gianfranco Jannuzzo che racconta l’amore per le persone, i luoghi, gli oggetti, gli ambienti di una città siciliana, la sua, Agrigento. Vivere lontano dalla “sua” gente, lavorando al Nord non è certo cosa facile per il popolare attore ex allievo di Gigi Proietti che ambisce a tornare tutte le volte che può.
“Tornare è una sensazione bellissima – dice. – Se non potessi farlo, per un qualsiasi motivo, la mia gente mi mancherebbe molto. Mio padre diceva che la nostalgia si combatte solamente tornando sui luoghi che questa nostalgia ci provoca. Quindi non c’è soluzione”.
-Tornare e ritrovare la Sicilia di sempre.
“Nei miei spettacoli – spiega Jannuzzo – ho sempre puntato il dito sui mali comuni che ci affliggono. Devo dire che, ridendo o scherzando, da tempo dico le cose come stanno. Anche se sul palco rido e scherzo, e faccio ridere e scherzare gli spettatori del Nord, certamente non dimentico alcune tristi realtà del passato. Adesso molti luoghi comuni si sono attenuati però il problema è esistito. Oggi della Sicilia si ha un’immagine meravigliosa, quasi da “Gattopardo”. Nel senso che se prima c’erano dei pregiudizi fortissimi ora, quando si viene in Sicilia e si conoscono i siciliani, si visitano i luoghi meravigliosi di questo giardino a cielo aperto, non solo la gente cambia idea, ma se ne innamora. A questo proposito devo dire che quando torno, litigo, bonariamente con i miei amici. E questo avviene da quarant’anni a questa parte. Mi sono trasferito a Roma nel 1967. Quando tornavo, avevo l’atteggiamento di chi rientra nel luogo meraviglioso dell’infanzia, della memoria. Quindi per me era, ed è, tutto bello, stupendo, meraviglioso, come quasi a non vedere le cose brutte che sicuramente vi erano, e ci sono ancora. Ma il mio, non è un atteggiamento. Amo così tanto la Sicilia che queste cose addirittura non le vedo! Questo è paradossale e forse si può capire e giustificare, con il fatto che chi ha un occhio esterno, vede le cose da lontano e ha sempre presente la situazione generale. Il quadro generale ti fa sempre vedere le cose straordinarie, belle fondamentali. Le altre cose, sono contingenti; sono munnizza. Ma la munnizza si leva”.
-Trova che il carattere dei siciliani sia cambiato in tutti questi anni?
“Un discorso da fare è quello sull’indolenza perché il nostro carattere è sempre un po’ troppo fatalista. Ma anche quello, si sta modificando, un po’ più lentamente di quanto mi piacerebbe, ma si sta modificando”.
… quindi vede una Sicilia che sta’ migliorando … “ Io la trovo migliorata rispetto al passato – risponde. – Chi, in Sicilia, non ci vive quotidianamente, vede le cose in maniera diversa e con un atteggiamento migliore. Penso però che i siciliani e gli agrigentini in particolare, (che conosco meglio degli altri siciliani) amino darsi la zappa sui piedi. Me ne sono accorto in questi anni, anche occupandomi fotograficamente di documentare la realtà della mia gente. Si sa della mia passione per la fotografia e del successo che stanno regalando al mio libro “Gente mia”; ebbene; ho visto quanto si sia ribaltato quell’atteggiamento negativo dei nostri concittadini verso la cosa pubblica. Ad esempio nel centro storico della mia città, ho notato, nell’arco di quarant’anni, che l’atteggiamento di chi ci vive è cambiato. Qui la gente provvede volentieri, anche rimboccandosi le maniche, a ristrutturare le case, a mettere i gerani per abbellire i balconi con meravigliose inferriate barocche di cui è pieno. Quindi il sentimento ora è cambiato. Ho notato qui lo stesso atteggiamento che hanno avuto a Gemona del Friuli quando la gente ha dovuto ricostruire il centro dopo il terremoto. Non hanno aspettato che qualcuno lo facesse per loro, l’hanno fatto e basta. E così stanno facendo da anni, quotidianamente gli abitanti del nostro centro storico”.
-Comunque ci sarà qualcosa che non sopporta?”
“ Appunto, non sopporto l’indolenza, il non fare. Non capire quanto invece siamo di esempio per tutti. La cosa straordinaria della sicilianità è questo senso che i siciliani hanno, della lealtà e dell’amicizia. Così come il senso profondo del rispetto per la donna. La cosa che mi inorgoglisce come siciliano è il senso dell’ospitalità, dell’accoglienza che è insita nel nostro Dna. Penso ad alcune figure sacre come San Calò, co-patrono di Agrigento, che è un santo “nivuro”. Poi c’è San Cono nel messinese, c’è San Bernardo del Moro a Palermo, c’è la Madonna Nera di Tindari, ci sono statue lignee di cristi neri. Questo la dice lunga su quanto sia lontano da noi, il sentimento di discriminare gli altri sulla base della pelle”.
-I nostri giovani per avere successo devono però andare via dalla Sicilia…
“Io sono l’esempio vivente del fatto che, quando ho deciso di fare l’attore e mi sono trasferito a Roma, sono riuscito a farlo. Probabilmente, il talento ho potuto coltivarlo in una delle scuole professionali per gli attori che era il laboratorio di esercitazioni sceniche diretto da Gigi Proietti. Che è stata un ‘enorme occasione. Penso però che chi ha talento ce l’ha a prescindere dal luogo dove si manifesta. Se sei bravo in qualunque campo, che tu sia nato a Castrofilippo (di cui io sono orgogliosamente cittadino onorario) o in altra località, poco cambia. Oggi purtroppo se ne vanno le intelligenze migliori, le più speculative, quelle che hanno esigenza di affermarsi. E questo è ancora un problema enorme al quale va data la massima attenzione”.
-Dunque l’immagine della Sicilia è vincente?
“La Sicilia è una specie di laboratorio a cielo aperto. Cioè ho la convinzione profonda che nelle differenze c’è il meglio. Dico, un po’ scherzando, che geneticamente i siciliani sono i bastardi più belli del mondo. Ne parlo anche nel mio libro fotografico, quante donne siciliane dagli occhi azzurri e con i capelli biondi hanno preso dai Normanni; quanti siciliani con tratti somatici arabi o saraceni, ci sono da queste parti. Queste differenze che esistono, non sono solo genetiche, ma anche di culture, di religioni che si sono stratificate negli anni. Noi abbiamo preso il meglio da tutte le varie dominazioni, non rinunciando mai alla nostra identità di popolo. Dal miscuglio delle varie stirpi è nata una “razza siciliana” meravigliosa. Noi siamo assolutamente, sontuosamente greci. I greci ci hanno insegnato a non aver paura della morte. Noi parliamo, esorcizziamo qualche volta la morte, scherzandoci su, ma quello è il nostro meraviglioso attaccamento alla vita. Noi sappiamo che siamo potentissimi, direi vicini agli dei, perché abbiamo consapevolezza. Bisognerebbe volersi un po’ più bene – conclude Gianfranco Jannuzzo -. Avere consapevolezza che anche agli occhi degli altri, noi siamo considerati una sorta di straordinario miracolo vivente proprio per le diversità di cui parlavo prima. Consapevolezza di questa straordinaria ricchezza che abbiamo; questo enorme privilegio di nascere nel posto più bello del mondo!”.
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