Puntuale come sempre la tradizionale “Relazione annuale” del lavoro svolto durante l’anno appena trascorso da parte della Società S. Vincenzo che, sin dalla sua fondazione, forse unico caso in diocesi, a favore delle fasce sociali più deboli opera a livello cittadino, cioè in nome e per conto delle nove Parrocchie della città.
Chiaro e puntuale il quadro riassuntivo dei 91 anni di vita dal punto di vista economico delle entrate e delle uscite, da quello del 1928-29 in cui l’introito è stato di 2.339,25 e l’esito 1.930,15, a quello del 2018 il cui introito è stato di 54.922,50 euro e l’esito di euro 31.364,25; all’ultimo del 31 dicembre 2019, il cui introito è stato di 49.337,84, mentre l’esito è stato di 25.928,14.
Le cifre parlano sempre in maniera più chiara delle parole, e sicuramente soprattutto da parte delle persone più responsabili non si manca di riflettere.
Ed intanto il suo attuale presidente prof. Salvatore Fanara, direttore responsabile del numero unico del giornale, che come al solito in questi giorni viene largamente distribuito tra la popolazione, fa notare che la Società della San Vincenzo è presente in 156 nazioni del mondo ed a Favara opera già attivamente da 92 anni, esattamente dal 14 settembre 1928. Quando allora, ad opera soprattutto di alcuni giovani del Circolo “Manzoni” e dell’Oratorio “Mons. Giudice”, con la guida spirituale di don Filippo Iacolino, futuro vescovo di Trapani, riuniti nella Chiesa di S. Vito, concretizzarono il proposito di impiantare organicamente nella città la struttura e soprattutto lo spirito delle Conferenze di S. Vincenzo de’ Paoli, fondate in terra di Francia da Federico Ozanam. Tempi assai difficili allora a Favara “in cui saziarsi di pane non era consentito a tutti”.
Il prof. Fanara, nell’articolo di fondo, tiene a sottolineare che, cambiati i tempi, “l’amore per i poveri, radice della San Vincenzo non cambia”. L’impegno quindi a confrontarsi con le vecchie e le nuove povertà, con un occhio particolare pure alle cosiddette povertà invisibili, quelle cioè che sono frutto di una modernità esasperata che anche a Favara non manca.
L’invito perciò anche a guardare ad Assisi, la città di S. Francesco, emblema di quella povertà evangelica che non condanna i ricchi ma l’idolatria della ricchezza. Dove perciò Papa Francesco prossimamente presiederà una tre giorni di studio dal 26 al 28 marzo, a cui parteciperanno giovani economisti e imprenditori dei cinque continenti, per tentare di ridisegnare un futuro diverso della gestione dell’economia, nel segno della “fraternità universale”.
Ricordiamo che nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, suo primo documento magisteriale del novembre 2013, Papa Francesco, appena a pochi mesi dalla sua elezione, ha indicato male principale del nostro tempo, quel tipo di economia che mette al centro di tutto il “dio denaro”, schiacciando l’uomo e mirando unicamente al profitto, sempre e comunque. Un’economia perciò a cui, doverosamente, bisogna dare un’anima nell’interesse generale.
E la tre giorni di Assisi deve essere vista come un tentativo di avviare un percorso innovativo di attuazione concreta della Dottrina Sociale della Chiesa (DSC). Dove già nella documento della CEI del 1994, “Democrazia economica, sviluppo e bene comune” al n. 17, si legge che “…l’impegno della povertà evangelica non è una scelta pauperistica che comporta la rinuncia a conseguire il benessere economico. Esige, piuttosto, un preciso ridimensionamento dei fini e dei mezzi in rapporto al vero fine dell’attività economica che è l’uomo, tutto l’uomo e tutti gli uomini, nessuno escluso, a cominciare dagli “ultimi”.
Diego Acquisto