Giovanni Di Lorenzo segnava la sua prima rete tra i professionisti proprio all’Esseneto, dopo uno slalom tra le maglie biancazzurre dell’Akragas allenata da Nicola Legrottaglie. Sono passati dieci anni da quella sfida: il “Gigante” era tornato in Lega Pro — oggi Serie C — dopo una lunga cavalcata nei campionati minori. Allora, insieme all’attuale campione d’Europa con la Nazionale, calcavano il prato dell’Esseneto squadre blasonate come il Foggia di De Zerbi e poi di Stroppa, il Catania, il Messina, la Reggina, il Lecce di Liverani. E proprio con la maglia del Matera, Di Lorenzo scriveva la prima pagina del suo romanzo calcistico.
Tre stagioni entusiasmanti tra i professionisti, poi la ripartenza: prima dalla Promozione, poi il ritorno in Eccellenza, infine la Serie D, la salvezza conquistata sul campo e gli annunci trionfali nell’anno in cui Agrigento indossa il titolo di Capitale Italiana della Cultura. Sulla maglia biancazzurra campeggia il logo di “Agrigento 2025”, la squadra viene presentata in pompa magna al palazzo di città, tra sorrisi, applausi e buoni propositi.
Ma oggi, mentre la città celebra la cultura, l’Akragas rinuncia alla Serie D. Il calcio ad Agrigento sparisce proprio nei giorni della festa. Si chiude un capitolo importante della storia sportiva e identitaria della città. Restano i ricordi, restano i grandi nomi. E nel pieno della “Sagra del Mandorlo in Fiore”, si “spengono per sempre le luci dello stadio Esseneto”.
Inutile pensare alle 15 reti di Matteo Di Piazza, poi passato a Foggia e Catania. Inutile tornare con la memoria agli anni Ottanta, quando Franco Scoglio sedeva in panchina e Peppe Catalano indossava la maglia numero 10. Ed è triste, amaramente triste, rivedere oggi il nome dell’Akragas accostato alla foto di Matteo Di Piazza sulla Gazzetta dello Sport, con un titolo che lascia poco spazio al romanticismo: “L’Akragas rinuncia alla D”. Nessuna favola, nessun lieto fine. Solo una riga secca che racconta la fine di una storia gloriosa. E proprio Catalano oggi non le manda a dire:
“Per i tifosi, così come per chi ha indossato questa maglia, è una ferita dolorosa. Sono stati commessi troppi errori, altrimenti non saremmo arrivati a questo punto”.
E aggiunge, con amarezza: “Gli sbagli partono sempre dall’alto. Per fare calcio servono soldi, ma anche competenza. E forse, quest’anno, sono mancate entrambe”.
Parole dure, come quelle di Matteo Colucci, ex capitano biancazzurro e simbolo dell’Akragas:
“Ci avevo visto lungo. Per questo ho lasciato già un anno fa. Questa società non meritava la mia fiducia, e sapevo già come sarebbe finita”.
L’avvocato Caponetto, da sempre presente sugli spalti, aveva lanciato anche una petizione popolare: “Dobbiamo ripartire dalla società civile, dagli sportivi veri che hanno a cuore le sorti del calcio agrigentino”.
Gianluca Cucchiara, tifoso di lunga data, va oltre: “È una sconfitta sociale e politica per Agrigento. Abbiamo trattato male Giavarini, che non poteva nemmeno mangiarsi una pizza tranquillo a San Leone. Non abbiamo capito quanto fosse importante avere un presidente economicamente solido: nel calcio di oggi, è essenziale”.
Il riferimento è all’imprenditore che aveva riportato l’Akragas in Serie C e che fu costretto a mollare perché la Lega non autorizzava più l’uso dell’Esseneto, privo di impianto di illuminazione.
Ironia della sorte: proprio in questi giorni è stato annunciato il finanziamento per la realizzazione delle torri faro e per l’efficientamento energetico dello stadio.
Nel frattempo, mentre dall’attuale proprietà si susseguono comunicati e annunci di conferenze stampa, la tifoseria non vuole più sentire parole. E ieri, nel giorno in cui si sarebbe dovuto giocare il derby con il Licata, l’Esseneto è rimasto inesorabilmente vuoto. Silenzioso. Come un gigante che non ha più voce.
Ma Agrigento, ancora una volta, prova a rialzarsi. C’è chi non vuole leggere questa pagina come una sconfitta della città, ma solo come il fallimento di chi avrebbe dovuto custodire questa maglia.
“La rinuncia alla Serie D dell’Akragas non è la sconfitta della città – sottolinea il libraio Alessandro Accurso Tagano – visto il fermento che già si respira per l’ennesima ricostruzione. È piuttosto la sconfitta di dirigenti incapaci di formare e gestire una società all’altezza della sua storia”. Parole che non cercano scuse, ma che accendono una fiammella: quella di chi crede che, dalle macerie, si possa sempre ripartire. Anche se il cuore oggi è pesante. Anche se l’Esseneto, per la prima volta dopo decenni, non ha più una squadra da sostenere.
Il dentista Ciro Fuschino, da sempre vicino ai colori biancazzurri, non usa mezzi termini:
“La lenta agonia dell’Akragas, iniziata fin dall’inizio del campionato, ha portato poi al ritiro della squadra e quindi, di fatto, alla sua scomparsa. Tutto ciò avviene nella totale indifferenza e assenza della classe dirigente di Agrigento. Questo rispecchia l’assoluto abbandono e la decadenza, da tutti i punti di vista, di una città che nell’anno da Capitale della Cultura doveva invece risplendere e cambiare volto. La squadra è lo specchio esatto di una città in grandissima difficoltà e ormai al degrado”. Una diagnosi severa, che suona come una sentenza.
Leggi anche: Firetto: ‘L’Akragas è amore, forse andava fatto di più’
Segui il canale AgrigentoOggi su WhatsApp