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Home » La mediterraneità della Magna Grecia » Esapansione dell’areale di Caretta caretta nel Mediterraneo: l’impatto dei cambiamenti climatici

Esapansione dell’areale di Caretta caretta nel Mediterraneo: l’impatto dei cambiamenti climatici

Elio Di Bella Di Elio Di Bella
27 Maggio 2025
in La mediterraneità della Magna Grecia
caretta caretta

caretta caretta

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Chiara Mancino rappresenta la nuova generazione di ricercatori italiani impegnati nella salvaguardia del patrimonio naturale mediterraneo. Originaria del Piemonte, ha costruito la sua carriera scientifica tra Roma e il mare nostrum, specializzandosi in biologia marina presso l’Università La Sapienza. Attualmente ricercatrice nel prestigioso progetto Life Turtlenest, dedica le sue competenze allo studio delle tartarughe marine, coniugando rigorosa metodologia scientifica e passione conservazionista. La sua ricerca si muove tra biogeografia, ecologia marina e gestione ambientale, con un approccio multidisciplinare che abbraccia l’intero ciclo vitale delle specie studiate.

Nel silenzio delle notti estive mediterranee, mentre le città costiere si addormentano tra il profumo di salsedine e oleandri, si consuma da millenni uno dei più antichi rituali della natura: le tartarughe marine emergono dall’acqua per deporre le loro uova sulla sabbia tiepida. Eppure, questo gesto ancestrale sta cambiando sotto i nostri occhi, raccontandoci una storia di adattamento, resilienza e sfide ambientali che coinvolge l’intero bacino mediterraneo.

Lo studio di Chiara Mancino, pubblicato a cura dell’associazione Ambiente e Cultura Mediterranea, diretta da Italo Abate, in occasione di Agrigento Capitale Italiana della Cultura 2025, ci offre uno sguardo scientifico ma accessibile su una trasformazione silenziosa che sta ridisegnando la geografia della vita marina. Attraverso l’analisi di sessant’anni di dati, dal 1960 al 2020, la ricercatrice documenta come la Caretta caretta, la tartaruga marina più comune del nostro mare, stia letteralmente “traslocando” i suoi siti di nidificazione, spostandosi di oltre 1.300 chilometri verso nord-ovest.

Questo movimento non è casuale: è la risposta intelligente di una specie antica alle pressioni del cambiamento climatico. Le tartarughe marine, infatti, sono creature straordinariamente sensibili alle variazioni ambientali. La temperatura ideale per la nidificazione si aggira intorno ai 24-25 gradi centigradi, oltre i quali le probabilità di successo riproduttivo diminuiscono drasticamente. L’aumento delle temperature del Mediterraneo orientale e meridionale ha reso alcune zone tradizionalmente vocate alla riproduzione meno ospitali, spingendo questi antichi navigatori verso acque più temperate.

Ma la temperatura è solo uno dei fattori in gioco. Lo studio evidenzia come le attività umane rappresentino la minaccia più significativa per queste creature. L’urbanizzazione costiera, l’inquinamento luminoso che disorienta i piccoli appena nati, la pesca intensiva e il traffico marittimo creano un cocktail di pressioni che rendono sempre più difficile la sopravvivenza delle tartarughe. Paradossalmente, mentre alcune zone si riscaldano troppo per essere abitabili, altre potrebbero diventare idonee ma sono compromesse dall’impatto antropico.

La ricerca di Mancino utilizza sofisticati modelli statistici chiamati SDM (Species Distribution Models) che integrano variabili terrestri e marine per prevedere dove le tartarughe potrebbero nidificare in futuro. Questi strumenti non sono solo esercizi accademici: rappresentano bussole preziose per orientare le politiche di conservazione e la pianificazione territoriale costiera.

Il Mediterraneo occidentale, dalle coste francesi a quelle del Nordafrica, sta diventando sempre più importante per la conservazione di questa specie. Le Baleari, la Costa Azzurra, persino alcune spiagge della Liguria potrebbero trasformarsi nei prossimi decenni in nuove nursery marine. Questo scenario apre opportunità inedite ma richiede una preparazione che ancora manca: infrastrutture di monitoraggio, protocolli di protezione, educazione delle comunità locali.

L’aspetto più toccante di questa ricerca è come essa riveli l’incredibile capacità di adattamento della natura di fronte ai cambiamenti. Le tartarughe marine esistono da oltre 200 milioni di anni, hanno attraversato ere geologiche, estinzioni di massa, glaciazioni. Oggi affrontano una sfida diversa ma non meno impegnativa: la rapidità del cambiamento antropico. La loro risposta migratoria verso nord rappresenta una lezione di resilienza che dovrebbe ispirarci.

Tuttavia, la migrazione non è una soluzione definitiva. Come sottolinea Mancino, l’erosione costiera, l’innalzamento del livello del mare, l’acidificazione degli oceani continuano a ridurre gli habitat disponibili. Alcune spiagge storicamente utilizzate per la nidificazione sono già scomparse, altre sono compromesse dall’inquinamento o dal disturbo antropico.

La conservazione delle tartarughe marine diventa così una cartina di tornasole per la salute complessiva del Mediterraneo. Proteggere i loro habitat significa preservare praterie di posidonia, mantenere pulite le acque, gestire sostenibilmente le coste. Significa ripensare il nostro rapporto con il mare non come risorsa da sfruttare ma come ecosistema da custodire.

La ricerca di Mancino si inserisce perfettamente nella riflessione culturale che accompagna Agrigento Capitale della Cultura, ricordandoci che la mediterraneità non è solo patrimonio archeologico, ma anche biodiversità marina e equilibri ecologici millenari. Le tartarughe che oggi cambiano rotta ci stanno indicando la strada: solo attraverso cooperazione internazionale, ricerca scientifica e rispetto per la natura potremo garantire che le generazioni future continuino a meravigliarsi davanti a questi affascinanti dinosauri del mare che solcano le nostre acque.

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Tags: Caretta Caretta
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