AGRIGENTO. Terrore e panico allo Zingarello il 19 agosto: attimi causati dal crollo di un costone che per poco non ha travolto un bagnante riuscito in seguito a salvarsi per miracolo. Tanta paura ma per fortuna nessun ferito, nonostante in moltissimi avessero deciso di trascorrere lì una domenica di mare a dispetto del divieto di balneazione in quel tratto di costa interdetta.
La vicenda ha scatenato diverse polemiche, soprattutto sui social. Il primo a esprimere risentimento per la faccenda è l’ex vicesindaco di Favara Lillo Attardo che su Facebook si scaglia contro le decisioni della Legambiente scrivendo: “negli anni ’90 nel mare di Zingarello misero delle scogliere identiche a quelle di Maddalusa per proteggere la falesia dall’erosione marina. La Legambiente di allora riuscì a farle togliere sprecando milioni di euro. Sono dell’idea che se oggi la Sicilia è una regione sottosviluppata la responsabilità, dopo i politici, è degli “Ambientalisti Estremisti” che preferiscono l’abbandono totale del territorio rispetto a un giusto utilizzo in funzione delle sue potenzialità”.
Il vicesindaco afferma di non avere nulla contro la Legambiente e che le sue contestazioni siano anzitutto rivolte alla rimozione delle barriere che erano state poste in precedenza, a suo dire “la giusta soluzione all’erosione di quell’area”. Una conclusione raggiunta con cognizione di causa, poiché egli, in qualità di geologo, aveva condotto delle indagini sulla costa agrigentina. Questi studi avevano appunto rivelato che le rocce presenti andando verso Palma fossero molto consistenti e dunque che l’energia del mare non avrebbe inciso negativamente sul resto del litorale come ad esempio era accaduto invece nella zona dell’ex Oceanomare a San Leone, a causa, appunto, di sedimenti più fragili.
Eppure la costruzione di “bracci di scogli” è stata attaccata più volte dalla Legambiente stessa, in particolare da Marco Interlandi – anch’egli geologo – che durante un’intervista rilasciata a marzo di quest’anno aveva sostenuto che “le barriere frangiflutti e la trasformazione, seppur temporanea, dell’arenile in una lunga scogliera di massi non risolve il problema dell’erosione ma, a lungo andare, lo aggrava”.
La soluzione da lui proposta è allora quella di “accettare che il mare attinga alle riserve naturali della spiaggia redistribuendo il materiale lungo tutto il tratto di costa”, in relazione al fatto che intervenire solo per il tratto oggi a rischio erosione comporterebbe un fenomeno erosivo nelle aree sottoflutto, allargando il problema all’intero litorale. C’è da dire inoltre che molte delle zone a rischio erosione sono state a tal motivo dichiarate interdette, impraticabili. E’ quindi necessario prima di tutto un miglioramento di ordinanze e controlli da parte dell’amministrazione al fine di far vigere il divieto di balneazione ed evitare che altre situazioni come quella verificatasi domenica scorsa possano ripetersi.
Simona Piraneo