C’è un tempo per la speranza, e poi arriva quello della verità.
Il ritrovamento di Marianna Bello segna la fine di venti giorni di angoscia e il ritorno alla realtà, quella che nessuno avrebbe voluto affrontare. Una verità dolorosa, che pesa come una pietra sul cuore di un’intera comunità e che non può – non deve – essere archiviata come una fatalità.
Oggi Favara piange Marianna, ma non può limitarsi al cordoglio. È il momento della verità, e la verità chiede risposte, responsabilità, coscienza civile. Perché non si muore così, travolti dall’acqua nel cuore di una città, in una strada che diventa fiume, in un sistema che troppo spesso si piega all’incuria e all’indifferenza.
Marianna era una madre, una moglie, una figlia. La sua storia non è un fatto di cronaca: è uno specchio che riflette le crepe di un territorio fragile, dimenticato, incapace di prevenire, di proteggere, di reagire per tempo. Ora serve coraggio, quello vero — non quello delle parole ma dei fatti — per capire cosa non ha funzionato, dove si è sbagliato, e chi doveva intervenire.
Non basteranno lacrime, non basteranno i fiori. Solo la verità potrà restituire dignità a Marianna e pace alla sua famiglia.
Perché ogni silenzio, ogni giustificazione, ogni ritardo sarebbe un secondo tradimento. E Favara, oggi, non può permetterselo più.
Oggi pomeriggio i funerali ma è il momento di tirare le fila e fare il punto della situazione. Spenti i riflettori delle ricerche ora che succede? I familiari hanno annunciato esposto e la magistratura era comunque già al lavoro.
E allora è giusto chiederselo, con fermezza e senza ipocrisie.
Chi doveva chiudere le grate aperte che si sono trasformate in trappole mortali?
Il Piano di Protezione Civile c’era davvero? Ed era valido, operativo, aggiornato?
Perché l’allerta era solo gialla e non rossa, nonostante l’intensità del maltempo e i segnali evidenti di pericolo?
E ancora: perché la zona del ritrovamento non è stata perlustrata prima, se si sospettava che la corrente avesse trascinato fin lì il corpo?
Non sono domande tecniche: sono domande di giustizia e di rispetto, verso una vita spezzata e verso una comunità che pretende risposte.
Favara conosce già questo dolore. Quindici anni fa pianse altre due vite spezzate, quelle delle sorelline Bellavia, morte nel crollo di una palazzina in via del Carmine. Anche allora ci fu uno shock collettivo, un sindaco — Mimmo Russello— che scelse di dimettersi da indagato, e un lungo processo che si concluse con il suo pieno proscioglimento. Le sentenze, arrivate anni dopo, accertarono altre responsabilità ma non cancellarono il senso di sconfitta di una comunità che si scoprì fragile e impreparata.
Oggi la storia sembra chiedere di nuovo il conto. Solo la verità, piena e senza compromessi, potrà restituire dignità a Marianna e pace alla sua famiglia.
Perché ogni silenzio, ogni ritardo, ogni giustificazione sarebbe un secondo tradimento.
E Favara, oggi, non può permetterselo più.
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