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Home » note ufficiali » Crisi delle imprese del comparto ittico Siciliano. Intervento di Roberto Di Mauro

Crisi delle imprese del comparto ittico Siciliano. Intervento di Roberto Di Mauro

Redazione Di Redazione
19 Luglio 2019
in note ufficiali, Politica
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Crisi delle imprese del comparto ittico Siciliano. Intervento di Roberto Di Mauro

Roberto Di Mauro, vicepresidente vicario dell’Assemblea Regionale Siciliana, si è rivolto al presidente della Regione Siciliana Sebastiano Musumeci e all’Assessore Regionale dell’Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea Dott. Edy Bandiera; per applicare misure urgenti finalizzate al superamento della crisi delle imprese del comparto ittico in Sicilia.

Ecco l’interpellanza presentata dal deputato agrigentino:

la pesca italiana, nell’indifferenza della politica e delle istituzioni, sta morendo: negli ultimi trent’anni, su 8mila chilometri di coste, le imbarcazioni sono diminuite del 33% a 12mila scafi con un’età media di 34 anni (solo a Mazara del Vallo i pescherecci d’altura sono crollati da 400 a 80); si sono persi 18mila posti in un settore che oggi dà lavoro a 27mila persone; il 74% del prodotto consumato in Italia è importato, anche da paesi remoti come Cile o Filippine;

le cause di questa crisi infinita si intrecciano e si rincorrono: la concorrenza dei mari lontani o delle barche croate, albanesi, nordafricane, ha innescato un crollo delle quotazioni del pesce che mettono fuori mercato i pescatori italiani e i loro costi dell’attività (stipendi, gasolio, manutenzione…): nel 1988 il prezzo medio della triglia era di 13mila lire al chilo, oggi non va oltre i 4 euro, mentre i costi della produzione sono aumentati del 200%;

le regole dell’Unione Europea, che tra l’altro sembra privilegiare l’acquacoltura, si sono trasformate in zavorre insopportabili. Le abitudini delle famiglie italiane, sempre più orientate verso il consumo di pesce spinato (“comodo da cucinare, ma senza sapore. Tipo la rana pescatrice dell’Alaska”, dicono perplessi gli stessi marinai), penalizzano i prodotti del mare nostrum. E poi il mancato ricambio generazionale, le gelosie e le rivalità tra i pescatori (in Francia ci sono solo 7/8 organizzazioni dei produttori, in Italia 54). Lo spopolamento di acque e fondali. Gli effetti del fermo biologico non tarato su singole zone o sulle varie specie.

il pescatore italiano è alla mercé del mercato all’ingrosso: chi compra fa leva sulle quotazioni del pesce importato e offre cifre irrisorie ai nostri pescatori che devono sopportare costi ben più alti di quelli degli egiziani, dei libici, dei tunisini.

La ricerca di soluzioni condivise è ostacolata dalla differenti posizioni assunte dalle categorie di pescatori e, tra loro, addirittura tra singoli pescherecci. Lo dimostra la risposta alla crisi arrivata da molti armatori che, anche eludendo le regole sulle agevolazioni fiscali per il carburante, hanno puntato tutto su barche più potenti. Ma il saldo finale non è cambiato, perché una pesca più industriale vuol dire anche costi di produzione più alti.

anche la politica del fermo biologico ha fallito i suoi obiettivi: i pescatori pur condividendola reclamano maggiore  flessibilità  tra zone di mare e specie, anche a costo di rinunciare agli indennizzi, certi della presenza di pesce sufficiente nei nostri mari, contraddicendo l’opinione dei biologi marini che registrano un prelievo eccessivo negli ultimi 40 anni.

Considerato che:

nell’Isola Siciliana il settore ittico ha registrato e continua a registrare un continuo aumento delle specie pescate raggiungendo le 43 301 tonnellate anno, avendo un carattere fortemente eterogeneo e comprendono numerose specie; 

nel contesto dell’economia regionale Siciliana, la pesca e l’acquacoltura rappresentano lo 0,58% dell’economia globale, rispetto allo 0,17% delle altre regioni italiane che rientrano nell’obiettivo “Convergenza” dell’UE (Basilicata, Calabria, Campania e Puglia) e allo 0,08% delle regioni italiane non incluse in tale obiettivo. Per quanto riguarda la trasformazione, la Sicilia vanta il maggior numero di aziende di conservazione del pesce in Italia (32%) e di posti di lavoro in tale settore (27%);

la Sicilia è una delle poche Regioni italiane in cui il settore della pesca anche se con tantissime difficoltà ha un saldo della bilancia commerciale positivo. Il principale paese d’esportazione per i prodotti siciliani è il Giappone (oltre la metà delle esportazioni), seguito da Spagna, Grecia e Francia. La maggior parte delle importazioni in Sicilia proviene dall’UE, in particolare da Spagna e Francia, ma anche dalla Grecia;

per quanto concerne l’occupazione nel settore della pesca, la Sicilia è la regione italiana che offre il numero più alto di posti di lavoro (26% di tutti i marittimi e il 18% degli addetti nel settore della pesca). L’industria della pesca occupa 18 135 persone, il 58% delle quali lavora direttamente nel settore della pesca, l’8% nella trasformazione, l’1% nella piscicoltura e il 33% in attività connesse, quali vendite, servizi portuali e altro;

l’acquacoltura in Sicilia rappresenta circa il 20% della produzione totale italiana, con una resa annua approssimativa di 4 000 tonnellate, ed è costituita quasi esclusivamente dalla produzione di spigole e orate. Nel 2008 operavano in Sicilia dodici aziende acquicole, che utilizzano diversi tipi di gabbie galleggianti. La domanda regionale di novellame di spigole e orate è soddisfatta da due incubatoi. L’attività di ingrasso del tonno rosso si è sviluppata rapidamente a seguito dell’elevata domanda del mercato giapponese;

Rilevato che:

la politica italiana in materia di pesca è fortemente condizionata dai regolamenti dell’UE nel quadro della politica comune della pesca (PCP), basata sui seguenti principi: protezione delle risorse, adeguamento degli impianti (strutture) alle risorse disponibili, organizzazione del mercato e definizione delle relazioni con gli altri paesi. Nel Mediterraneo, tuttavia, l’applicazione di alcune delle misure relative alla politica di monitoraggio è stata posticipata e le misure di conservazione della PCP sono state attuate in modi diversi nelle differenti zone. Per esempio, il sistema dei totali ammissibili di catture (TAC) e dei contingenti, il principale strumento di conservazione della PCP, non è stato applicato nel bacino del Mediterraneo. Solo il tonno rosso è soggetto a tale sistema nel Mediterraneo e soltanto dal 1998. Per il resto, alcuni elementi della PCP, come il libro di bordo, sono stati introdotti nel Mediterraneo a seguito dell’Atlantico;

questa situazione è stata tradizionalmente giustificata adducendo alle specifiche caratteristiche del Mediterraneo. Dopo un iter durato quasi tre anni, con l’astensione finale della Francia, il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 1967/2006 relativo alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel mar Mediterraneo;

a norma del principio di sussidiarietà vigente nell’UE, l’Italia ha adottato degli strumenti complementari per l’attuazione di una politica di gestione specifica. Il principale strumento per tale settore è il piano nazionale della pesca marittima e dell’acquacoltura, introdotto dalla legge 41/82, che viene riesaminato ogni tre anni. Il programma per il periodo 2007- 2009 definisce le linee strategiche di coordinamento, ristrutturazione e sviluppo del settore ed è incentrato principalmente su misure integrative, volte a contribuire direttamente al miglioramento della competitività delle imprese di pesca;

la politica nazionale di conservazione delle risorse si basa sul sistema generale delle licenze. Tutte le imbarcazioni, indipendentemente dagli attrezzi che utilizzano, devono avere una licenza di pesca, e per alcuni tipi di pesca occorre l’autorizzazione della direzione generale della Pesca del ministero delle Politiche agricole.

Ritenuto che:

durante i lavori della 42ma Sessione della Commissione Generale per la Pesca nel Mediterraneo (CGPM-FAO), Greenpeace, nel rapporto “FRA poco spariranno”, denunciava il fallimento delle misure di tutela delle aree di riproduzione (nurseries) delle specie ittiche più importanti dello Stretto di Sicilia: gambero rosa (o bianco) e nasello (spesso impropriamente chiamato “merluzzo”), da tempo in crisi;

nel 2011 il Piano di Gestione della Pesca nello Stretto di Sicilia ha formalmente vietato la pesca a strascico in due di queste aree, rimandandone però l’esecuzione pratica a successivi accordi internazionali. Si arriva così al 2016, quando la specifica Commissione Generale per la Pesca nel Mediterraneo della FAO stabilisce la creazione di tre Fisheries Restricted Areas (FRAs) nello Stretto di Sicilia. Tuttavia le raccomandazioni prevedono clausole che hanno permesso all’Italia di evitare di renderle operative. Il paradosso, dimostrato dal rapporto “FRA poco spariranno”, è che l’attività di pesca entro le tre FRA sembra addirittura essere aumentata dopo la loro “istituzione”. Il recente Piano di Gestione Nazionale del 2018 conferma che, di fatto, la protezione di nurseries di fondamentale importanza per la pesca è ancora un miraggio;

Rilevato, inoltre, che:

il Regolamento 982 del 2019, approvato dall’Unione Europea, che ha modificato quello precedente del 2011 ha  aggiunto l’articolo 9 Bis (Zone di restrizione della pesca nel Canale di Sicilia), che proibisce l’attività di pesca, con reti a strascico, nelle zone denominate “Est del Banco Avventura”, “Ovest del Bacino di Gela”, “Est del Banco di Malta”;

in particolare, il regolamento ha trasposto, in diritto unionale, la Raccomandazione CGPM/40/2016/4 che “istituisce un piano pluriennale di gestione per le attività di pesca che sfruttano il nasello europeo e il gambero rosa mediterraneo nel Canale di Sicilia (sottozone geografica (GSA) da 12 al  16)”;

alcuni elementi del predetto piano pluriennale erano già contemplati nel Regolamento di esecuzione (UE) n. 2017/218 e nel Regolamento (UE) n. 1380/2013. Tuttavia, alcune misure riportate nella richiamata Raccomandazione 40/2016/4 non erano ancora previste dalla legislazione dell’Unione e, quindi, sono state introdotte con il nuovo ed ultimo Regolamento n. 2019/982 che, a sua volta, ha modificato il Regolamento (UE) n. 1343/2011.

Con l’aggiunta dell’articolo 9 bis “Zone di restrizione della pesca nel Canale di Sicilia” che proibisce l’attività di pesca, con reti a strascico, nelle zone denominate “Est del Banco Avventura”, “Ovest del Bacino di Gela”, “Est del Banco di Malta” e l’articolo 9 ter che individua un’area tampone intorno a ciascuna delle predette  zone di restrizione della pesca in cui le attività di pesca sono riservate alle unità in possesso di un sistema di monitoraggio a distanza dei pescherecci (VMS) funzionante ovvero altro sistema di geo-localizzazione equivalente.

Considerato che:

l’applicazione del Regolamento (UE) richiamato e le rigide restrizioni all’attività di pesca in esso contenute incidono gravemente sulla economia della marineria Licatese che rischia di subire un grave contraccolpo nonostante la ricchezza di pescato offerta dalle aree su cui ricade il divieto.  C’è in gioco, dunque, il futuro di 50 barche da pesca ed il sostentamento di 300 famiglie con gravi ricadute su tutto il territorio provinciale 

per conoscere se  non ritengano opportuno  

intervenire presso il Governo nazionale affinché si faccia promotore dell’insediamento di un tavolo tecnico, come richiesto dalle imprese ittiche siciliane, finalizzato alla revisione delle restrizioni contenute nel Regolamento UE 982 del 2019;

promuovere altresì, a favore del settore ittico Siciliano:

  • la revisione del sistema sanzionatorio modificato dalla legge n. 154/2016 che espone le PMI del settore ittico siciliano, già fortemente in crisi, a multe fino a 150.000 euro, dimostrandosi una norma esclusivamente repressiva e penalizzante;
  • il ripristino della Commissione Centrale della Pesca Marittima quale indispensabile organismo di confronto e consultazione per la categoria ed, in generale, la semplificazione delle pratiche amministrative e la riduzione dei costi e dei tempi burocratici che gravano pesantemente sulla redditività delle PMI;
  • strumenti che rendano più agevole alle PMI ittiche siciliane l’accesso al credito per acquisto di attrezzature indispensabili all’attività di pesca;
  • l’istituzione di un Osservatorio del Mediterraneo che, coinvolgendo tutte le categorie impegnate nel settore, sappia farsi interprete delle specifiche istanze del comparto ittico dei paesi che si affacciano sul bacino mediterraneo;
  • iniziative volte a calmierare il costo del carburante impiegato nelle unità di pesca;
  • azioni per l’estensione di sgravi fiscali e previdenziali indirizzate a sostegno dei marittimi imbarcati a bordo di navi da pesca, in considerazione dell’attività particolarmente rischiosa e faticosa.

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