Dieci vasi della Collezione Panitteri sono temporaneamente tornati ad Agrigento, esposti nella mostra “Da Girgenti a Monaco. Da Monaco ad Agrigento” presso il Museo Archeologico “Pietro Griffo”. Questo evento, organizzato nell’ambito di Agrigento Capitale della Cultura 2025 ci porta ad una vicenda antica, ma non ancora debellata: il patrimonio archeologico agrigentino è stato a lungo oggetto di un sistematico saccheggio.
La storia di Agrigento, antica Akragas, si intreccia con il traffico di reperti fin dall’Ottocento, quando il collezionismo europeo e la mancanza di normative favorirono la dispersione di capolavori in collezioni private e musei stranieri. Tra i casi più emblematici, spicca la vicenda della Collezione Panitteri, composta da 47 vasi attici oggi in gran parte custoditi a Monaco di Baviera. Ma il fenomeno non si è mai arrestato: ancora oggi, il mercato illegale di beni archeologici minaccia l’integrità culturale della Sicilia.
Il caso Panitteri (1824): Uno degli episodi più significativi fu la vendita del 1824 di un ricco complesso di ceramiche antiche agrigentine proprio a Ludovico I. Il canonico Giuseppe Panitteri , alto prelato della curia di Agrigento, aveva trovato nelle sue terre numerosi vasi greci (crateri e anfore attiche del VI-V secolo aC) e mise insieme una collezione privata di ben 47 ceramiche dipinte.
In un’epoca in cui la legislazione sulla tutela era ancora agli albori, Panitteri scelse di vendere l’intera raccolta al giovane principe bavarese Ludovico, che stava formando a Monaco un museo di antichità. La vendita avvenne legalmente e iniziale nel 1824 , con il beneplacito delle autorità borboniche allora regnanti in Sicilia, fruttando al sacerdote una somma considerevole e garantendo a Ludovico pezzi di eccezionale qualità per la sua collezione. Affascinato dalla bellezza dei reperti di Panitteri, Ludovico continuò in seguito ad acquistare antichità nell’Italia meridionale, diventando uno dei maggiori collezionisti stranieri di opere magnogreche.
I vasi, oggi esposti nelle Staatliche Antikensammlungen di Monaco, furono raccolti in un’epoca in cui il commercio di antichità non era regolamentato. Gli scavi clandestini erano una prassi diffusa: contadini e tombaroli estraevano reperti, rivendendoli a figure influenti come Panitteri, che fungeva da intermediario con acquirenti stranieri.
Il sacerdote sfruttò le falle legislative dell’epoca per cedere i manufatti alla corte bavarese, privando la Sicilia di un pezzo fondamentale della sua storia.
Il caso Panitteri non fu un’eccezione. Nel XIX secolo, Agrigento era un vero e proprio “cantiere archeologico” a cielo aperto, ma in mano a privati senza alcuna regolamentazione.
Tre elementi favorirono questa dispersione:
Mancanza di normative: prima delle leggi di tutela del 1909, chiunque poteva scavare e vendere reperti senza restrizioni.
Rete di intermediari: sacerdoti, nobili e studiosi collaboravano con i tombaroli per esportare illegalmente beni archeologici.
Domanda internazionale: collezionisti europei, attratti dal fascino dell’arte greco-siceliota, pagavano cifre considerevoli per impossessarsi di questi tesori.
Raffaello Politi: l’intermediario tra scavi clandestini e mercato internazionale
Tra le figure più controverse spicca Raffaello Politi, pittore e archeologo agrigentino, noto per il suo doppio ruolo di studioso e intermediario.
Nel 1826, Politi pubblicò Il viaggiatore in Girgenti e il cicerone di piazza, una guida turistica che segnalava i luoghi migliori per trovare reperti. Ma dietro la sua passione per l’archeologia si celava un’attività parallela: fungeva da consulente per acquirenti stranieri e facilitava il passaggio dei beni fuori dalla Sicilia.
Politi collaborò con Leo von Klenze, architetto del re di Baviera, fornendo autenticazioni e consulenze sulla Collezione Panitteri. La sua figura incarna l’ambiguità dell’epoca: da un lato documentava i ritrovamenti, dall’altro ne favoriva la dispersione.
Oltre alla Collezione Panitteri, numerosi reperti agrigentini sono oggi esposti in musei stranieri. Tra i più noti:
Il Telamone del Tempio di Zeus, frammentato e disperso tra il Museo dell’Università di Bonn e il British Museum.
Il Dinos con Triskeles, vaso del VII secolo a.C., trafugato nel 1806 e ora al Louvre.
La Patera di Sant’Angelo Muxaro, un eccezionale reperto in oro del VI secolo a.C., è uno dei tesori più celebri della Sicilia antica oggi conservato al British Museum di Londra. Scoperta nel XVII secolo in una tomba della necropoli sicana, questa coppa rituale rappresenta un simbolo delle complesse relazioni culturali e delle dinamiche di saccheggio che hanno segnato la storia archeologica dell’isola.
Il vescovo Andrea Lucchesi Palli donò alla biblioteca un medagliere con monete antiche, oltre a reperti greci, romani ed egizi. Tuttavia, durante le fasi di decadenza (1862-1899), sotto la gestione comunale, si verificò la scomparsa di elementi del patrimonio antiquario, come attestano le fonti coeve.
Il danno culturale: perdita d’identità e memoria storica
L’aspetto più drammatico di questa dispersione non è solo la perdita materiale, ma il vuoto culturale che ne deriva. Gli scavi clandestini hanno privato gli studiosi di informazioni cruciali sui contesti di ritrovamento, rendendo impossibile ricostruire le connessioni storiche tra gli oggetti e il loro uso originario.
Secondo gli esperti, il 70% dei reperti sequestrati negli ultimi anni proviene da scavi clandestini, senza alcun dato contestuale.
Il traffico illecito di reperti: una piaga ancora attuale
Nonostante le maggiori tutele, il saccheggio continua. I dati del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC) rivelano un quadro allarmante:
130 deferimenti per scavi clandestini nel 2023 (+96% rispetto al 2022).
16 denunce per ricettazione di reperti archeologici in Sicilia nel 2023.
37 casi di esportazione illegale di beni culturali registrati nel 2023.
Oltre ai metodi tradizionali, oggi i trafficanti utilizzano mercati digitali e falsificazioni certificate, rendendo più difficile il recupero delle opere.
Le strategie di contrasto: tra recuperi e resistenze
Negli ultimi anni, le operazioni dei Carabinieri TPC hanno portato a risultati significativi:
3.583 beni archeologici recuperati in Sicilia nel 2023.
+22% di controlli nelle aree archeologiche rispetto al 2022.
Collaborazioni con musei internazionali per la restituzione di opere trafugate.
Tuttavia, il processo di recupero è complesso. Molti musei stranieri resistono alle richieste di restituzione, appellandosi alla legittimità degli acquisti storici.
Il saccheggio dell’arte agrigentina non è solo un capitolo del passato, ma una ferita ancora aperta. Se da un lato le mostre temporanee possono sensibilizzare l’opinione pubblica, dall’altro occorre una strategia più incisiva, che combini vigilanza territoriale, educazione civica e cooperazione internazionale.
Solo così si potrà invertire il destino di una città che, per secoli, ha visto le sue opere più preziose partire per non fare mai più ritorno.
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