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Home » Cultura » Tutta colpa di Solone: il nuovo romanzo di Andrea Cirino, uno spaccato di storia agrigentina tra società e politica

Tutta colpa di Solone: il nuovo romanzo di Andrea Cirino, uno spaccato di storia agrigentina tra società e politica

Luigi Mula Di Luigi Mula
15 Dicembre 2022
in Cultura
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Il romanzo di Andrea Cirino ha tutte le caratteristiche del romanzo storico e del romanzo sociale .
Storico, perché al suo interno si sviluppano continui eventi concatenati, proiettati lontani nel tempo, ma in grado di fornire spiegazioni su fenomeni osservabili nel presente.
Sociale, perché l’autore delinea un quadro realistico dei costumi della società agrigentina del secondo Novecento, mettendo in risalto pregi e difetti dei suoi abitanti e della classe politica locale e non solo. Il racconto è dato dalla combinazione di storia ed invenzione.
Protagonista del romanzo è Niria un agrigentino che dopo un incontro con un politico locale, che lo vuole candidare alle elezioni comunali, inizia a pensare alla politica come mezzo di riscatto sociale.

Il racconto si apre con un sogno: una conversazione “impossibile” tra Solone e il suo servo.

Il sogno diventa, così, uno stratagemma per parlare delle prevaricazioni di un sistema che, scrive nella prefazione: “Negli anni ha germogliato tanti uomini potenti, ma non illustri, che pur di difendere la loro poltrona hanno seminato invidie e zizzanie”.
Sotto i riflettori di Cirino finiscono il politico Cannella, l’onorevole Bonifacio, l’onorevole Tirinnà e di tanti altri “politicuzzi” locali che: “Rispecchiano la personalità della stragrande maggioranza dei politici che nella costituzione soloniana sarebbero stati denominati Teti o meglio nulla tenenti”.
Personaggi inventati, sia ben chiaro, ma che diventano esempi di arroganza e prevaricazione di una classe di politica che ha portato le istituzioni a perdere il legame affettivo con i propri cittadini.
Ma chi erano i Teti? La riforma soloniana, che diede ai ceti più bassi la possibilità di partecipare alla vita pubblica, divise i cittadini in quattro classi, individuati in base ad un criterio timocratico, vale a dire fondato sul censo e sulla ricchezza. I Teti erano gli ultimi della scala gerarchica.
Il servo, però, incalza e pone nuovi interrogativi all’arconte, sull’efficacia e l’efficienza della riforma stessa che, afferma, non accontenta né i nobili né la plebe.
“Bisogna dunque trovare un compromesso”, dice, infine, il servo.
Il sostantivo usato da Cirino, ci riporta a quel particolare momento della storia d’Italia in cui si registrò un avvicinamento politico tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano , denominato appunto compromesso storico. Una strategia che, purtroppo, il 16 marzo 1978, portò al sequestro di Aldo Moro. Quel giorno, ricordiamo, era previsto il dibattito alla Camera dei deputati e il voto di fiducia per il quarto Governo presieduto da Giulio Andreotti.
Tutta colpa di Solone grazie ad una brillante chiave narrativa, potrebbe benissimo adattarsi ad una trasposizione cinematografica.
I dialoghi sono vivaci, ben strutturati, convincenti e disegnano intensi siparietti: teatrali, commoventi, critici ed appassionanti. Pennellature che, in modo impressionistico, aiutano il lettore a seguire i continui mutamenti spaziali e temporali. I cosiddetti flashback.
La narrazione ripercorre il bombardamento di Agrigento del luglio del 1943, la frana del centro storico del 1966, la fine della Prima Repubblica nel 1993 e la caduta del Governo Berlusconi del 2011.
Man mano che le pagine scorrono monta tutta l’architettura del romanzo. Ogni parola è un’ architrave che sostiene con forza una robusta sintassi, dal prologo all’epilogo.
La penna di Cirino diventa sempre più graffiante quando parla della politica e dei politici.
Cita, per esempio, un “professore”, definito “gendarme delle più grandi inesattezza in campo economico, venduto alla Germania e a Bruxelles, o una “vecchietta senza cuore” in lacrime che ha firmato una legge sui tagli forsennati alle pensioni. Ed ancora parla del divario economico tra Teutoni ed Italici. I riferimenti sono chiarissimi e le critiche pungenti.
Ma è tutta colpa di Solone o degli invisibili che manovrano la politica italiana?
Per l’autore gli invisibili sono tutte quelle forze occulte che invece di perseguire l’interesse dello Stato, perseguono quello di soggetti terzi: potenze straniere, lobby, gruppi di pressione o partiti politici che vogliono conservare o ampliare il proprio potere.
Ma come ho già detto, il romanzo è anche di chiara impronta sociale.
Il romanzo è, infatti, ambientato nel quartiere popolare Baddaranni di Agrigento, con le monache di clausura che preparano i dolci di mandorla, il museo civico, la trattoria, le botteghe artigiane.
Sull’esempio di Andrea Camilleri, Cirino usa opportunamente il dialetto “girgentano” per rinvigorire la personalità dei suoi personaggi.
Tra le pagine si coglie il brusio del quartiere e il profumo di sfinciuna, carduna e arancini fritti nell’olio bollente; l’anima, cioè, di una di una terra che nella prefazione Cirino definisce dal “clima meraviglioso e dal mare cristallino”.

I personaggi popolari sono quelli più a fuoco: Zio Lollò, Luisa, Zarcone, Zio Saro, Zia Rorò, lo zio Emanuele, che ama dipingere in solitudine e “in un’altra famiglia sarebbe stato considerato un artista mentre per il nonno era soltanto un nullafacente”, la nonna Emilia, Papà Lù, il nonno che si definisce un drammaturgo, a Za Ninì, che si ubriaca fin dalle prime ore del mattino, l’amico Pierino, che per riparasi dal freddo mette le mani sotto le ascelle, u zu Cola che cunta u cuntu e Niria bambino, impaurito dal racconto, cerca riparo tra le cosce da zia Teresa o zia Paolina e “un gran fetore riempie le sue piccole narici”.

L’esagerazione della scrittura camilleriana c’è tutta e sfocia spesso nel meccanismo della comicità.
Un neorealismo pasoliniano che rispecchia, per Andrea Cirino, il dovere di rappresentare nella sua totalità e amorevolezza il mondo che vede e la realtà di cui si serve.
In questo contesto popolare si muove il giovane Niria che inseguendo il sogno del posto fisso, diventa infermiere all’ospedale psichiatrico di Agrigento, con la speranza, però, che quella professione non l’avrebbe fatta per tutta la vita: “Non ti preoccupare Nirì, io conosco il funzionario della Provincia che ti trasferirà in ufficio” gli promettono.
Parlare dell’ex manicomio di Agrigento diventa per Cirino l’alibi perfetto per introdurre il tema della follia e della solitudine, così cari a Pirandello.
Il romanzo raggiunge la massima espressione poetica quando parla degli ammalati:

“Nonostante fossero persone come noi, venivano trattate come bestie e per colpa non loro, ma di coloro che li avevano rinchiusi in quell’inferno, avevano perso la dignità e gli era stata preclusa ogni possibilità di rieducazione e di riscatto”.

L’autore, plausibilmente, si riferisce allo scandalo che negli anni Ottanta travolse l’ex ospedale psichiatrico di Agrigento. Molti ricorderanno che fu Domenico Modugno ad accendere i riflettori sullo stato di degrado dell’ex manicomio. La solitudine di Zarcone, abbandonato dai familiari in manicomio, commuove e fa riflettere. Storie tristi che finiranno nel 1978 con la Legge Orsini – Basaglia che chiude i manicomi.
Ma il tema della follia offre anche l’opportunità all’autore di tracciare un confine tra i sentimenti carichi di solidarietà ed altruismo della sua gente e l’egoismo e il cinismo dei politici.
Esempio di probità è il padre del protagonista/autore che viene descritto così:

“Gli uomini come mio padre non potranno mai governare i popoli ma potranno essere di alto valore e di esempio di onestà e dedizione alla famiglia ed alla società”.

Porta bandiera di un fare sprezzante è, invece, il politico Cannella che vuole candidare Niria alle elezioni comunali e, per racimolare qualche voto, gli consiglia di iniziare dallo zio Lollò che ha diverse conoscenze: “Devi cominciare ad imparare i trucchi del mestiere, prendilo per il…fagli credere che lo farai nominare Cavaliere”.
Ho già detto che il romanzo si presta ad una trasposizione cinematografica.

Andrea Cirino, infatti, usa la penna come una cinepresa; un regista che corre da una scena all’altra aprendo nuove storie: ironiche, grottesche, drammatiche.
Un novello Pirandello che conosce bene la profondità dell’animo umano ed i processi sociali, economici e politici della sua terra.
I personaggi sono buffi, bizzarri, stravaganti e allo stesso tempo tragici, come Pippineddru, l’onorevole Elia, Manganella o lo sprezzante ministro, al quale Niria farà da segretario personale. Un uomo volgare e superstizioso (fa spesso scongiuri) che promette posti di lavoro, ma che confida: “Nirì, se vuoi perdere un amico devi dargli il posto di lavoro”.
Diversi sono i riferimenti alla letteratura del Novecento; Camilleri, Tomasi di Lampedusa, Leonardo Sciascia.
C’è un capitolo dal titolo Tutto cambia e nulla cambia: “La democrazia inventata da Solone – si legge – aveva aperto la strada della politica al popolo. Ma i nuovi politici per la maggior parte ignoranti si sono arricchiti alle spalle della povera gente”.
Chiaro è anche il riferimento al pessimismo della ragione di Leonardo Sciascia.
Il concetto di sicilitudine, piaga della Sicilia, rappresenta l’atteggiamento pessimistico, prima di Sciascia e poi di Cirino, nei confronti della politica.
La storia va avanti e siamo al 19 luglio 1966, la frana di Agrigento.
È l’inizio del degrado del centro storico della città e l’espandersi dell’abusivismo edilizio nella Città dei Templi, con la connivenza della politica locale.
Alcuni parlamentari avevano pensato di aprire un’inchiesta, ma Aldo Moro, all’ora presidente del Consiglio, Andreotti, Colombo e Taviani si opposero fermamente, sostenendo che si trattava di un problema che riguardava l’Italia intera.
Anche la Curia scese in campo per difendere gli amministratori locali: “Ma non immaginava che da li a pochi anni la Cattedrale sarebbe stata in pericolo di crollo”.
La seconda parte del libro muove dall’esperienza romana del protagonista e ripercorre gli anni della cosiddetta prima repubblica , fino al suo tramonto con la caduta di Craxi, il 30 aprile del 1993.
Sono gli anni della fabbrica dei posti, dell’assunzione di un esercito di forestali “che in Sicilia sono più delle foreste”; insomma, il periodo buio di quella Democrazia voluta da Solone.
Nel libro troviamo anche chiari riferimenti al Vangelo: la parabola del pastore, della cruna e il cammello che rimandano a “Quasi Papa”, il primo straordinario libro del nostro autore.
Tutta colpa di Solone è, in definitiva, un romanzo affascinante e coinvolgente con un interessante messaggio implicito.
Per l’autore i politici, dietro al loro cinismo mascherato da perbenismo, sono tutti dei vinti; uomini soli che hanno perso il senso della famiglia, dell’amicizia, della solidarietà e del rispetto per gli altri. Una classe politica troppo spesso chiusa in se stessa e dedita solo ai propri interessi dove l’etica e la morale si perdono perché sostituite da altri valori che valori non sono.
A vincere, invece, saranno la forza degli affetti e l’attaccamento alle proprie radici.
Niria, trasferendosi a Roma, non perde mai di vista la propria missione, ovvero riscattare la propria famiglia;  fuori dalla Sicilia acquisisce nuova consapevolezza e nuovo coraggio:

“La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiare le cose”.

Non voglio svelare il finale del libro. Tutta colpa di Solone è un romanzo che occorre leggere o ascoltare ( si trova anche in formato eBooks e audiolibro) per capire meglio la Sicilia e, soprattutto, per il messaggio di speranza che lancia a tutti i siciliani onesti che credono nel riscatto di questa bellissima Isola, come il padre dell’autore al quale i racconti sono dedicati.

Luigi Mula – giornalista

[email protected]

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Tags: Andrea CirinoTutta colpa di Solone
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