Con la celebrazione dei 2600 anni della città di Agrigento si apre una grande opportunità di promozione e di sviluppo dell’intero territorio e, al contempo, si offre un segnale tangibile che la rigenerazione urbana passa principalmente attraverso la cultura.
Agrigento è una città dal grande passato, e anche se il presente appare in chiaroscuro – con tratti positivi ma anche problematici, senza sconfinare nell’enfasi, si può riconoscere che rappresenta un laboratorio di molteplici e promettenti risorse che, opportunamente liberate, sostenute e valorizzate, possono costituire una riserva di energie spendibili per sciogliere nodi, raccogliere sfide, immaginare soluzioni nuove, promuovere la qualità umana e civile della nostra comunità
La città è ancora capace di aprirsi al suo futuro con fiducia e coraggio. Proprio ora il “Piano Strategico” non può e non deve andare in archivio, ma merita di essere rilanciato e sostenuto perché sviluppi al meglio tutte le sue potenzialità. Per questo è di fondamentale importanza tenerne in vita la sua anima profonda che si identifica con quella “svolta”, che permetta alla città di transitare dalla ricostruzione materiale della sua veste esteriore ad una più attenta alla costruzione della sua identità e memoria, più attenta alla cultura, alla bellezza, all’educazione, all’accoglienza.
Il Piano Strategico è dunque necessario perchè non basta l’urbanistica e il governo del territorio. Senza strumenti in grado di rispondere alle mutate esigenze non può esserci un progetto di città dinamica, vivibile e capace di vincere le sfide che la modernità pone di fronte.
Oggi la sfida del governo locale è quella di confrontarsi con la diffusa domanda di partecipazione che proviene da ampi strati di popolazione. Una domanda non più rituale, non più espressa nelle forme tradizionali. Se non vogliamo che queste istanze siano facile preda della strumentalizzazione e del qualunquismo, le istituzioni e le forze di intermediazione sociale devono sapersi dotare di strumenti nuovi e più flessibili in grado di garantire una partecipazione che non sia più espressa una volta ogni cinque anni attraverso il voto, ma che sia capace di coinvolgere le comunità nelle scelte più importanti e strategiche di trasformazione del territorio, attraverso percorsi di graduale presa di coscienza delle questioni, dei problemi, dei limiti e delle opportunità che stanno dietro ad un progetto di futuro.
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