Ieri pomeriggio, complice il vento che ha alzato il mare, ho seguito con grande attenzione il film “Paolo Borsellino”.
Impeccabile, da 10 e lode!
Sobrio, con poche scene di macabra violenza mafiosa, descrive il profilo umano e professionale di tanti grandi protagonisti della lotta al crimine organizzato: da Chinnici a Cassarà, da Falcone al protagonista stesso, Borsellino!
Il film fa emergere con discrezione intelligente quel mondo di mezzo che ha governato ed inquinato gli apparati dello Stato e che ancora oggi è lì, annidato, ben ancorato, forte, decisivo e soprattutto impunito!
Falcone e Borsellino, gli agenti delle loro scorte e i tanti caduti sotto i proiettili di cosa nostra, sono stati raggirati anche e soprattutto da questo mondo grigio, traditi da chi doveva sostenerli, proteggerli, coadiuvarli nell’opera normale ( per loro…) di difendere lo Stato, di servire il loro paese.
E così son caduti come birilli, uno dopo l’altro, i servitori dello Stato, mentre ancora probabilmente vivono liberi i criminali che quello Stato hanno “sacrificato” a vantaggio del crimine.
“Dopo di me”, diceva Borsellino, pochi gg prima del suo delitto, non ci sarà più nulla, la mafia riprenderà la sua corsa senza alcun ostacolo”.
Questa è la verità che rompe ogni indugio, ogni inutile retorica, ogni manifestazione rievocativa o commemorativa quasi ridicola.
Alla fine la mafia ha vinto la sua partita: ha corrotto pezzi dello Stato, si è insinuata nel mondo politico, si è fatta strada tra grandi opere pubbliche e grandi imprese, controlla mercati ittici ed ortofrutticoli, commercia droga ed armi, sconfina oltre il Meridione e conquista le grandi regioni del Nord e le grandi città, mettendo le mani sui rifiuti, sulla sanità, sull’ acqua, su tutto, proprio tutto.
E lo “Stato”?
Lo Stato sembra aver perso la bussola, sembra quasi non saper o voler riconoscere l’antistato, vittima com’è di guerre intestine per conquistare posti di potere, di comando, di controllo, dal CSM…. a scendere, passando per le poltrone che contano, quelle che non si vedono ma che stanno dentro i gangli vitali del corpo della Repubblica.
Poltrone da cui dipendono le sorti della vita pubblica, come quella della Superprocura, quella che aveva scalato con tanta fatica Falcone, ma che qualcuno nn aveva gradito, e che per questo, preferì far saltare in aria.
“Io- parla sempre Borsellino rivolgendosi alla moglie- so chi ha ucciso Giovanni.
Il problema è che nn mi daranno il tempo di dimostrarlo”.
E così cade anche lui, lui che ancor più di Giovanni era riuscito a lambire con le sue ricerche solitarie(!) il filo sottile che collega questi due mondi ( Stato ed Antistato) in apparenza distanti ma nella realtà vicini, anzi contigui!
Muore Borsellino dunque, e muore subito, poche settimane dopo la strage di Capaci.
Troppo pericoloso, troppo vicino a verità scottanti, ad un passo dallo svelare questa simbiosi criminale, questo connubio inaccettabile, questa deriva di un paese civile asservito a traditori, poteri corrotti, interferenze inammissibili.
Paolo Borsellino avrebbe potuto aprire il “sipario”, proprio come in un teatro, svelando al pubblico attori e protagonisti di questo intreccio pirandelliano e criminale.
Glielo hanno impedito!
E come se nn bastasse, hanno fatto scomparire anche i suoi appunti, la sua agenda rossa, il suo testamento.
Insomma guai ad alzare il sipario.
Chi ci tenta, muore.
Infatti da allora nessuno ci ha provato più!
Con la morte di Borsellino dunque, si consuma la morte dell’Italia, si celebra il funerale della Repubblica, quantomeno quella pulita, specchiata, trasparente, quella onesta, quella della legalità senza se e senza ma.
Ed oggi?
Oggi il “gioco” continua.. ..
Pezzi di politica deviata che “dialogano” con pezzi di magistratura corrotta per definire assetti, geometrie, logiche, disegni…
La stessa antimafia è pian piano passata dalla parte della mafia, istituzionalizzandosi e “mascariando” le lenzuola bianche, quelle che i due magistrati palermitani erano riusciti a far sventolare come simboli di rigore etico e di rispetto della legge da parte di una società civile pronta a vendicare quei mitici eroi.
Oggi, anche quel “profumo di libertà”, quel vento collettivo di odio verso la criminalità si è affievolito, si è dissolto.
Oggi i nomi di quei magistrati campeggiano dappertutto: scuole, piazze, ville comunali, strade, aeroporti, ma restano lì come monumenti di una sconfitta che nn ha riguardato loro ma tutti, tutti quanti.
La mafia alla fine ha vinto: i suoi “trofei” sono i cadaveri di tanti servitori onesti del nostro paese;
Oggi la mafia è ancora più forte: continua a fare affari, trova interlocutori all’estero, controlla economie.
La mafia si è tolta le scarpe da campagna e si è messa dietro i monitor dei PC.
Oggi nn ha più motivo di difendersi, di piazzare tritolo o di sparare; è più libera, più sicura, nn ha più investigatori “rognosi” e determinati !!
E lo Stato?
Lo Stato osserva, nella migliore delle ipotesi, quasi rassegnato all’antistato, che lo ha battuto, invaso o meglio… conquistato.
Tra qualche giorno, in occasione dell’anniversario della strage di via D’Amelio, andrà in scena la solita parata commemorativa.
Paolo non la gradirebbe di certo.
Lo Stato, questo stato, nn può limitarsi a commemorare: non è ha neanche facoltà!!
Potrà averla solo dopo aver fatto chiarezza.
Questa è la realtà, il resto è idealismo retorico!