15 maggio: festa dell’Autonomia siciliana.
Festa o non festa, comunque per la Sicilia una ricorrenza storica assai significativa, giudicata subito nel 1946 una conquista, dato che per questa nostra isola ci si proponeva di attuare una particolare forma di governo, proprio adatta al nostro territorio, con possibilità autonoma di potere favorirne meglio il progresso e lo sviluppo, con decisioni appropriate sull’utilizzo delle sue risorse, unitamente a quelle che, provenienti dall’esterno, si sarebbero aggiunte, come avvenuto.A distanza di 77 anni da quel 15 maggio 1946, quando venne firmato l’atto costituzionale che riconosceva alla regione Siciliana lo status di Regione a Statuto speciale, c’è veramente da interrogarsi sul senso e valore di questo strumento politico. Strumento che aveva tanto acceso gli animi di tanta speranza, mentre adesso in ogni ricorrenza se ne sottolinea la mancata applicazione. E pertanto c’è chi ne chiede il pieno riconoscimento dello Statuto, e chi, invece, al contrario lo addita come causa dei mali Siciliani, chiedendone l’abolizione. Una discussione, in cui con sfumature di verse, si confrontano pareri diversi tra chi propende per l’abolizione, e chi invece chiede di rafforzarlo ed attuarlo con impegno, come ci si proponeva in origine, e comunque anzitutto riconoscerlo come una conquista, anche modificandolo ed adattandolo alla nuova situazione italiana ed europea.
Ricordiamo che il 15 maggio non fu una data scelta a caso, ma di proposito, perché era il giorno, allora nel 1946, del 55° anniversario della famosa enciclica Rerum Novarum del 1991 di Papa Leone XIII. Enciclica che diede tanta grinta e tanto coraggio tutti, nel vivo allora, della problematica sulla “questione sociale”, quando sembrava che secondo il messaggio marxista l’unica soluzione possibile fosse solo quella della “lotta di classe”.
Allora, in quella situazione storica e culturale, la parola ferma e lungimirante di Papa Leone XIII, che con la Rerum Novarum, indicava un nuovo percorso, partendo anzitutto della dignità del lavoratore e quindi della necessità, non della lotta, ma della collaborazione tra le classi, perché scriveva che “il capitale ha bisogno del lavoro ed il lavoro ha bisogno del capitale”.
Rintonando alla data di oggi, non possiamo trascurare quello che i Vescovi Siciliani, collegialmente, nel Documento che ha come titolo il versetto biblico in cui il profeta Isaia per Gerusalemme s dice “Finché non sorga come stella la sua giustizia….non tecerò…non mi darò pace”, E nella Gerusalemme di cui parlava il profeta, i Vescovi vedevano la Sicilia del 1996 quando ricorreva il 50° anniversario dello STATUTO della Regione Siciliana, scrivendo: “…..non c’è molto … se non proprio nulla da festeggiare”.
Ed il card. Salvatore Pappalardo, di venerata memoria, allora presidente della CESi, presentando ufficialmente quel documento, parlava di “una sofferta constatazione….. a cui.., – a suo giudizio, nel 1996, era – giunta in Sicilia ….cioè un preoccupante livello al negativo”.
Credo che oggi su questo bisogna riflettere. La scelta del versetto di Isaia come titolo di quel documento, evidenziava l’indicazione dei Vescovi a voler superare la cultura del fatalismo e della rassegnazione, per far crescere quella dell’impegno e della creatività. Un’indicazione valida ieri e ancor più oggi, perché il cristiano si muove nella storia, e nella storia deve incarnare la sua fede. Abbiamo avuto forse troppi “ politici tanto bravi nel denunciare, quanto scarsi, incapaci ed inefficienti nel provvedere”.
Basta con le baruffe accompagnate da giochi di prestigio a Palazzo dei Normanni, con l’effetto di far svanire e comunque usare male, assai male i soldi pubblici. C’è davvero tanta materia su cui riflettere.