VIAGGIO NELLA CITTA’ DEI MORTI (al cimitero di Bonamorone).
Di Lorenzo Rosso
Scrisse Goethe che “un popolo che non ha memoria storica, non è un popolo civile”. E’ un peccato che si vada a fare visita ai defunti solo una volta l’anno, in occasione dei “morti”, perché diversamente ci si accorgerebbe di come il cimitero monumentale di Bonamorone, ad Agrigento, sia un interessante “pezzo” di storia locale che custodisce lo spirito dei tempi e dei luoghi e lo racconta più di qualunque altro museo o monumento. Questo cimitero, progettato nel 1867 dall’ingegner Dionisio Sciascia, è stato ideato a “croce iscritta in un cerchio” (poi diventato un quadrato). Qui venne sepolto anche il progettista, nell’aprile del 1891, ma nessuno più sa precisamente dove sia la sua lapide tra le seimila tombe disseminate intorno. Pochi passi dopo l’ingresso centrale, invece, c’è la tomba di Nicolò Gallo, grande personaggio agrigentino, nato nel 1849 e morto nel 1907, insigne avvocato, scrittore, politico, più volte ministro della Pubblica Istruzione e della Giustizia nei governi di fine Ottocento e pure tra i primi presidenti della Camera dei Deputati. La sua tomba adesso è spoglia, eppure narra il Picone nei suoi scritti storici, che alla sua morte gli vennero riservate “onoranze spettacolari”. Entrare nel cimitero di Bonamorone vuol dire assistere ad una galleria di immagini che dice tutto della storia della città. Ci sono le tombe gentilizie, ricche di fregi e decorazioni e quelle più misere. Dalla storica ed elegante cappella della marchesa Contarini disegnata dall’architetto Politi fino a quelle di altri personaggi agrigentini che hanno scritto pagine importanti della vita di questa città, a Bonamorone ci sono davvero tutti. C’è Alessandro Pistarini, insigne professore di origine piemontese, direttore della Scuola Femminile, morto con la “Lue” nel 1867, di cui è rimasto il cippo sul vialetto principale, tra palme, cipressi e pini d’Aleppo. Si raccontava, a Girgenti, che il professore fosse talmente amato, che le spese del funerale vennero sostenute dalle sue care allieve: “ammiratrici – scrissero sul marmo – delle virtù del loro maestro”. Molte tombe in epoca recente sono state “svuotate” per fare posto ai “nuovi morti” perdendo così completamente traccia del passato. A stento gli agrigentini sono riusciti a salvare la tomba del capitano inglese Alexander Hardcastle (Londra 1872 Girgenti 1933) che spese tutto il suo ingente patrimonio per finanziare gli scavi archeologici nella Valle dei templi. Il suo “posto” è il numero 110 accanto al muro di cinta nella zona Nord. Lì c’è un alto cipresso che sembra messo a guardia della sua tomba che poi è un “fazzoletto” di prato all’inglese. E c’è pure una panchina che invoglia il visitatore a sedersi e a riflettere sulla brevità della vita. E così viene in mente quella battuta di Leonardo Sciascia (che aveva il terrore di essere sepolto vivo). “Prolungate il più possibile la mia veglia funebre – diceva il maestro di Racalmuto tra il serio e l’ironico – e quando sarà la mia ora, accertatevi bene che sia morto per davvero..!”