In uno studio condotto dal Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e dei Materiali dell’Università di Palermo -unitamente all’ANAS – riguardante il viadotto Morandi di Agrigento, viene mostrato un interessante esempio di viadotto a travate in cemento armato precompresso progettato da uno dei più importanti ingegneri del XX secolo, Riccardo Morandi. Il viadotto Akragas si sviluppa per una lunghezza complessiva di circa 1400 m con campate di luce teorica di 44 m ciascuna, misurata in asse alle pile. Le travi longitudinali hanno altezza in mezzeria di 2.20 m, che si rastrema verso le estremità sino ad un’altezza di m 1.82. Il calcestruzzo costituente le travi è risultato di resistenza inferiore alle prescrizioni progettuali. Tutto ciò, unitamente al diffuso degrado della struttura, esteso anche alle pile, ha indotto l’ANAS a chiudere la strada al traffico e valutarne il grado di sicurezza.
“La valutazione della sicurezza è affetta da un grado di incertezza diverso rispetto alle strutture di nuova progettazione -scrivono gli ingegneri – e l’esistenza della struttura comporta la possibilità di determinare le effettive caratteristiche meccaniche dei materiali nelle diverse parti strutturali. Le modalità di verifica delle nuove costruzioni sono basate sulla realizzazione, attraverso processi di produzione controllati, di una costruzione fedele al progetto. Nelle costruzioni esistenti si fa riferimento a fattori di confidenza che riducono i valori medi di resistenza dei materiali della struttura esistente” .
Come viene ancora sottolineato, “dall’analisi della documentazione di progetto del 1971 si evince che al calcestruzzo utilizzato nella realizzazione delle travi longitudinali era attribuita una resistenza di 45 N/mm2. Per l’armatura ordinaria è stato utilizzato acciaio ad aderenza migliorata; inoltre, riguardo i materiali e i prodotti per uso strutturale si prescrive che nel caso si renda necessario valutare a posteriori le proprietà di un calcestruzzo precedentemente messo in opera si può procedere ad una valutazione delle caratteristiche di resistenza attraverso prove sia distruttive che non distruttive. Ricavare la resistenza dai valori di rottura dei provini estratti da carote richiede un’attenta valutazione dei fattori correttivi che possono influenzare le prove.”
Un ulteriore fattore di cui tenere conto è legato alla direzione del prelievo rispetto a quella del getto. La resistenza di provini ricavati da carote estratte parallelamente alla direzione del getto è maggiore di quelle estratte perpendicolarmente allo stesso, in quanto nel secondo caso il carotaggio intercetterebbe micro-fessurazioni che durante le prove si disporrebbero parallelamente alle isostatiche di compressione, diminuendo la resistenza del provino. Per determinare il carico variabile da applicare all’impalcato si è fatto riferimento alla Circolare del Ministero LL.PP. del 14 Febbraio 1962 che identifica due diverse categorie di strade ed in relazione a queste indica gli schemi di carico da utilizzare: il viadotto in esame si considera appartenente alla prima categoria, per la quale la circolare prescrive l’utilizzo del più gravoso schema di carico militare, costituito da un treno indefinito di carichi da 320 kN, affiancato da una o più colonne indefinite di autocarri da 120 kN e folla compatta sui marciapiedi.
In conclusione, come viene infine sostenuto nel documento, con riferimento alle quattro campate prese in considerazione, caratterizzate da valori omogenei di resistenza del calcestruzzo, “si è visto che la struttura possiede un sufficiente grado di sicurezza nei confronti dello stato limite ultimo per flessione, ma è sottodimensionata a taglio. La disponibilità di ulteriori indagini sui materiali potrà inoltre consentire di affinare i giudizi sul grado di sicurezza dell’opera e di orientare gli interventi di adeguamento o miglioramento statico e sismico.”
Fi qui la documentazione prodotto dall’Anas, adesso il fact checking sul viadotto “Morandi” diffuso dall’ordine degli ingegneri di Agrigento:
È qui il caso sinteticamente di tornare su alcuni temi sventolati in questi giorni come prove della necessità quasi impellente di demolire l’opera.
1) Il viadotto è irrecuperabile e pericoloso perché le pile hanno evidenti problemi strutturali e il calcestruzzo si sgretola.
FALSO. Nessuna indagine, per quanto noto, ha evidenziato deficienze strutturali irreparabili delle pile, sulle quali comunque vanno evidentemente eseguite opere di risanamento e di ripristino del copri ferro, come, con le dovute proporzioni, vengono eseguite nella pratica ordinaria su tutte le strutture in C.A. per esempio i fabbricati per civile abitazione. La stessa ANAS ha già predisposto un intervento esecutivo di recupero, a testimonianza della fattibilità tecnica, anche nei confronti degli impalcati, con le stesse tecniche attualmente utilizzate sui tratti autostradali della A19 (Palermo- Catania).
2) Trenta milioni di euro per ristrutturare il viadotto sono troppi: molto più economicamente conveniente abbatterlo.
FALSO. Parte cospicua dei 30 milioni sono presumibilmente destinati all’adeguamento delle barriere stradali, delle opere di regimentazione idraulica e del ripristino della pavimentazione stradale. Solo una parte è destinata al risanamento/adeguamento strutturale. In ogni caso tutte le opere andrebbero manutenute programmandone gli interventi nell’arco della vita utile, pertanto i 30 milioni vanno ripartiti per l’intero periodo di esercizio. L’eventuale decostruzione, lo smaltimento dei materiali, la bonifica del sito e la contestuale realizzazione di una viabilità alternativa (su cui lo stesso Ente manifesta una certa “incertezza nei tempi di approvazione”) avrebbe costi quantomeno comparabili, ma con una interruzione del servizio molto maggiore. Stiamo correndo invece il rischio di portare Anas a decidere di non stanziare più il fondi per la manutenzione (dicono loro, risolutiva) del viadotto, perdendo di fatto 30 milioni di euro per la provincia.
3) E’ inutile fare la manutenzione perché tra pochi anni il viadotto sarebbe nuovamente pericoloso.
Falso. Già oggi, le nuove opere vengono progettate, in termini di durabilità e azioni agenti (comprese quelle impreviste) in funzione della vita utile, che per le opere strategiche è fissata in non meno di 100 anni. L’intervento manutentivo e di adeguamento predisposto dall’ANAS avrà ovviamente fissato una vita residua dell’opera e calibrato l’intervento su questa, che sicuramente non è di “pochi anni”.
4) Esistono valide alternative al viadotto.
NON ESISTONO SOLUZIONI ALTERNATIVE AL VIADOTTO.
FALSO. Sebbene sia già chiaro che non vi è un’alternativa di pari valore ed efficienza, è stata la stessa Anas, nel valutare l’ipotesi demolizione, a precisare che ogni percorso diverso dall’esistente non potrà che ricalcare quasi del tutto le strade secondarie già esistenti, con un prolungamento dei tempi di percorrenza. Nessun nuovo tracciato a raso potrà mai essere approvato per i vincoli gravanti. Le alternative si riassumono quindi in un potenziamento della viabilità esistente, ma queste non sono in alcun modo sovrapponibili all’esistente né tantomeno valide, privando la città di un fondamentale accesso a Sud con il dirottamento del traffico a Nord sul già congestionati Quadrivio Spinasanta, Via Imera e Piazzale Rosselli (ironicamente anch’essi serviti da viadotti), o peggio sulla viabilità interna alla Valle che si vorrebbero addirittura a traffico limitato. L’alternativa di fatto sarebbe rappresentata dal ritorno alla viabilità di 50 anni fa. Infine, ricordiamo che oltre al citato collegamento della città di Agrigento con alcune sue importanti Frazioni, il viadotto assicura il collegamento tra la città e la parte occidentale della provincia, si è pensato a come possa essere garantito un tale servizio?
Note storico costruttive del viadotto:
I viadotti Akragas 1e Akragas 2 costruiti, su progetto dell’Ing. Riccardo Morandi, tra la seconda meta degli anni 60 e il primo anni 70 del secolo scorso, avevano lo scopo di collegare le frazioni di Villaseta e Monserrato con la città di Agrigento. Dal punto di vista costruttivo l’impalcato di entrambi i viadotti è formato da una successione di campate in semplice appoggio su pile in calcestruzzo armato dotate di opportuni elementi a sbalzo, i cosiddetti Cantiliver. Le travi dell’impalcato sono state realizzate in calcestruzzo armato precompresso del tipo a cavi scorrevoli, tecnologia questa, come ampiamente descritto in letteratura tecnica, che ha denotato nel tempo una diffusa vulnerabilità al degrado, e ciò tanto più quanto più l’ambiente risulti aggressivo.
Oggi, i due viadotti, dopo poco più di mezzo secolo di servizio, senza mai essere stati sottoposti a lavori di manutenzione, mostrano i segni evidenti di un degrado diffuso dei materiali e delle componenti strutturali, circostanze queste che hanno costretto già nel 2015, a seguito di una campagna di indagini condotta da ANAS, ad una breve chiusura del solo Akragas 1, in attesa che si completassero le verifiche numeriche del caso; successivamente, il viadotto fu riaperto, per poi essere chiuso definitivamente nel 2017, a seguito di diverse segnalazioni con cui si evidenziava il notevole degrado delle calcestruzzo e delle barre d’armatura delle pile, senza che fosse stata condotta una accurata valutazione sperimentale riguardante tanto le pile quanto, e soprattutto, gli impalcati: ricordiamo infatti che i crolli dei viadotti registrati in questi ultimi anni, sono stati quasi sempre imputabili al collasso delle travi o di porzioni di impalcato.
Gli ultimi tragici eventi di Genova, del resto, hanno imposto, con forza, all’attenzione dell’Opinione Pubblica come sia indispensabile tenere sotto sorveglianza i ponti ed i viadotti della rete viaria Nazionale con tecniche sperimentali finalizzate al controllo e al monitoraggio continuo delle strutture, con tecniche, cioè, capaci di fornire informazioni fondamentali per la valutazione della sicurezza e garantire la pubblica incolumità, nonché alla programmazione tempestiva degli interventi manutentivi a cui devono essere destinate risorse certe e cospicue.
Gli stessi eventi, in tutta la loro sconvolgente drammaticità, tuttavia hanno rischiato di offuscare la figura del Progettista; come Ordine degli Ingegneri, non possiamo non ricordare che l’Ing. Riccardo Morandi sia stato uno dei massimi esperti mondiali di strutture in calcestruzzo armato ordinario e precompresso, Egli ha compendiato una produzione progettuale straordinariamente vasta per numero e per varietà dei temi trattati, con una altrettanto vasta produzione di studi sulla tecnologia, sulla tecnica e sulla sperimentazione di strutture. Basta scorrerne la biografia per rimanere sbalorditi dalla sua produzione e dal numero di riconoscimenti a livello internazionale.
Il viadotto Akragas costituisce un’opera che merita attenzione e che deve essere inquadrata nel percorso filosofico dell’opera del Morandi, infatti, come è stato osservato dal Boaga, per altra opera avente caratteristiche costruttive riconducibile a questa, al di la della semplicità dello schema statico, non può sfuggire, il tentativo, per altro riuscito, di proporre una nuova idea di architettura strutturale delle pile, non più viste come semplici sostegni dell’impalcato, e quindi relegati ad un ruolo secondario, ma invece come elemento caratterizzante su cui si concentra una attenzione mai prima riscontrata.