Sono Antonio e Giuseppe Maira, rispettivamente di 69 e 63 anni, di Canicattì, i due fratelli raggiunti da un provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura della Repubblica di Agrigento, ed eseguito dai Carabinieri della Compagnia di Canicattì, e dal personale della squadra Mobile della Questura di Agrigento, perché ritenuti responsabili in concorso di estorsione aggravata ed usura (con tassi usurai che variavano dal 100 al 120 per cento annuo). Entrambi sono noti alle Forze dell’Ordine, in particolare Antonio Maira risulta già condannato quale appartenente alla criminalità organizzata. E tutti e due sono attualmente imputati presso il Tribunale di Agrigento, in un altro procedimento per associazione per delinquere, finalizzata all’usura ed all’estorsione . L’indagine, avviata congiuntamente lo scorso mese di febbraio, è stata coordinata dal sostituto procuratore Elenia Manno.
I fermi, che dovranno essere convalidati dal Gip del Tribunale di Agrigento sono stati eseguiti per pericolo di fuga. I particolari dell’inchiesta sono stati resi noti nel corso di una conferenza stampa, alla presenza del procuratore capo Luigi Patronaggio, del pubblico ministero Elenia Manno, del capo della squadra Mobile Giovanni Minardi, e del capitano dei carabinieri della Compagnia di Canicattì, Luigi Pacifico.
Tutto è partito dalla denuncia presentata da un imprenditore edile del posto. In particolare, il malcapitato ha riferito che, nel 2016, in un momento di difficoltà economica, chiese ed ottenne 25mila euro in contanti da uno dei fratelli, dietro la promessa di restituzione di 2.500 euro mensili, imputabili quali interessi, senza la fissazione di un termine per la restituzione del capitale. Nel febbraio di quest’anno, dopo avere già consegnato agli usurai circa 80 mila euro, la vittima, resasi conto di non poter più far fronte ai pagamenti, decise, in un primo tempo di rivolgersi alle Forze dell’Ordine, per poi far perdere le proprie tracce, unitamente al proprio nucleo familiare.
Nel dettaglio, gli investigatori, attraverso complesse ed articolate attività di intercettazione, nonché mediante indagini tradizionali, hanno accertato, sia le condotte usurarie poste in essere dagli indagati, sia lo stato di vero e proprio terrore in cui versava l’intero nucleo familiare dell’estorto, essendosi tra l’altro diffusa la notizia che gli aguzzini, con la pretesa di ulteriori 40mila euro, si fossero già posti alla ricerca del debitore sparito. Il tutto dietro gravi minacce, supportate altresì dal particolare “pedigree” criminale dei due fratelli.
“Questa operazione è sola la punta di un iceberg – dice il procuratore capo Patronaggio -. Sono state scoperte ben 3 episodi di usura. Il primo episodio è stato verificato su un prestito di circa 28, 29 mila euro, a fronte del quale alla chiusura delle indagini erano stati pagati 70 mila euro; l’altro un po’ più modesto, su 5.800 euro di prestito erano stati già pagati 11 mila euro, e per l’altro, 35 mila euro di prestito, e i conteggi sono ancora in corso. Attraverso attività tecnica, ha messo le vittime in condizione di dover parlare. Avevamo la notizia dell’usura, avevamo le intercettazioni telefoniche. Chiamate le vittime, avevano un bivio: o collaborare o rendersi favoreggiatori e complici dell’usura. Le tre vittime hanno parlato. Una, in particolare, che ha subito in modo odioso la pressione degli usurai, ed ha subito anche un tentativo di estorsione, si è dovuto allontanare dal territorio perché ha sentito il peso di questa richiesta fatta con violenza e minaccia”.
“A questa inchiesta hanno collaborato carabinieri e polizia, ma anche la Guardia di finanza che ci ha aiutato nell’effettuare gli accertamenti bancari sui conto corrente sia degli indagati per verificare se ci fossero dei movimenti di denaro – ha aggiunto il sostituto procuratore Elenia Manno – . Non sono stati trovati movimenti tracciabili o denaro, perché quando si parla di usura i pagamenti mensili si fanno in contanti. Le rate mensili venivano pagate nei luoghi pubblici: alla villa comunale, e al bar. Sono stati fatti dei sequestri nell’abitazione degli indagati, abbiamo analizzato soprattutto il telefono cellulare che veniva utilizzato da Giuseppe Maira, in particolare per chiamare in maniera metodica e costante le vittime. Chiamate calendarizzate. In un determinato giorno del mese la vittima doveva versare quanto richiesto. Trovati anche i famosi ‘pizzini’ con tutti gli appunti, e il ‘libro mastro’ con i nominativi delle vittime”.
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