Operazione antimafia della squadra Mobile nel trapanese nei confronti di una serie di presunti mafiosi, molti dei quali vicini al numero uno di Cosa Nostra, il boss latitante Matteo Messina Denaro.
Sono 13 i provvedimenti di fermo emessi dai magistrati della Dda di Palermo. Venti gli indagati. Smantellano il clan di Calatafimi-Segesta.
E’ stato notificato anche un avviso di garanzia al sindaco di Calatafimi, eletto l’anno scorso con 1900 preferenze, oggi è accusato di corruzione elettorale (“50 euro a voto” si sente nelle intercettazioni) e di tentata estorsione, con l’aggravante di mafia.
Fra gli indagati c’è pure un agente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere palermitano di Pagliarelli: è accusato di rivelazione di notizie riservate.
Le accuse ipotizzate nei confronti degli indagati sono, a vario titolo, associazione mafiosa, estorsione, incendio, furto, favoreggiamento personale e corruzione elettorale, aggravati dal metodo mafioso. Le manette sono scattate per alcuni imprenditori e per un dirigente di un’azienda pubblica di Trapani che è anche presidente di una cantina sociale.
In manette, è finito il nuovo capo della famiglia mafiosa che fa parte del mandamento di Alcamo, Nicolò Pidone, 57 anni, ex operaio stagionale della Forestale, che era stato già arrestato nel 2012, dopo avere scontato la condanna era tornato a fare il mafioso.
In manette anche l’imprenditore agricolo Andrea Ingraldo, residente in provincia di Agrigento, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, per aver assunto fittiziamente il leader della famiglia di Calatafimi Nicolò Pidone, al fine, tra l’altro, di far figurare l’esistenza di una regolare posizione lavorativa per ottenere un trattamento meno afflittivo nell’ambito di un procedimento per l’irrogazione di una misura di sicurezza di cui è destinatario.
Tra gli arrestati Barone Salvatore, fino alla trascorsa estate presidente del Consiglio di Amministrazione pro tempore dell’azienda per i trasporti Atm di Trapani, già direttore generale della stessa compagine societaria a partecipazione pubblica, destinatario del fermo e il sindaco di Calatafimi, al momento indagato e non destinatario di provvedimento, per i reati di tentata estorsione e corruzione elettorale, aggravati dal metodo mafioso.
Barone, nella qualità di presidente della cantina sociale Kaggera di Calatafimi – altra carica da lui da tempo ricoperta – è risultato completamente assoggettato ai voleri del capo della locale famiglia mafiosa, Pidone Nicolò, il quale, direttamente o attraverso il proprio fiduciario Placenza Gaetano, allevatore, anch’egli sottoposto a fermo e facente parte dell’organigramma della compagine direttiva societaria, in qualità di consigliere, ne pilotava le policy di governo, decidendo le assunzioni di personale finalizzate a dare sostentamento alle famiglie dei detenuti mafiosi e la dazione di somme di denaro, a favore di esponenti di Cosa Nostra.