Investire di più sulle innovazioni tecnologiche è necessario al fine di fornire il giusto impulso a un circolo virtuoso che possa attirare nuovi impieghi, occupati e produttività.
È proprio questo l’invito che gli operatori del settore stanno rivolgendo al territorio siciliano, con la regione insulare ancora attardata nell’adottare innovazioni tecnologiche e nel premere il pedale sull’acceleratore della ricerca e dello sviluppo.
Qualcosa, però, sta per cambiare. E giova dunque guardare con maggiore ottimismo a un futuro a breve termine dove non dovrebbero mancare gli spunti di positività.
Investimenti innovativi in Sicilia: il ritardo della regione
Che la Sicilia abbia l’urgente necessità di migliorare l’adozione di innovazioni tecnologiche in ambito privato e pubblico, e di investire di più sulla ricerca e sullo sviluppo, lo sostengono anche i dati più recenti a nostra disposizione.
Secondo un recente dossier curato dall’Osservatorio Statistico della Regione Campania su dati nazionali, per esempio, le imprese siciliane che hanno almeno 10 addetti vantano un tasso di innovazione del 24,8% (2016) e una spesa in ricerca e sviluppo pari a soli 236.918 euro. Una cifra irrisoria – soprattutto se confrontata con gli oltre 2,3 milioni di euro che vengono spesi in Piemonte – pari addirittura al solo 6% degli investimenti della Lombardia, la regione top di questo settore di analisi, con più di 3,7 milioni di euro spesi.
Piuttosto bassi sono anche i numeri legati alle unità aziendali che hanno introdotto innovazioni all’interno delle proprie realtà imprenditoriali: in Sicilia sono state solamente 1.584, contro le 6.952 dell’Emilia-Romagna, le 4.492 del Piemonte o le 15.056 della Lombardia.
Trasporti e logistica: tante opportunità per una reale innovazione
Risulta ancora di maggiore interesse focalizzarsi su alcuni dei settori che le imprese siciliane potrebbero mettere maggiormente a frutto, considerate le specificità territoriali e l’importanza fondamentale per il proprio sviluppo.
Per quanto attiene il comparto dei trasporti e della logistica, ad esempio, si fa riferimento a quanto condiviso da una più recente ricerca dell’Istat (2018), secondo cui rispetto alle regioni del Nord Italia, le merci di alcune regioni del Sud hanno la necessità di viaggiare di più.
Si consideri – ad esempio – che le merci siciliane viaggiano su gomma per 121 km medi, contro i 108 km della Lombardia. Di qui, è possibile intuire la convenienza che rappresenterebbe lanciare nuovi sistemi per poter monitorare con efficacia le percorrenze, le soste e la benzina spesa dalle flotte o dai singoli mezzi aziendali.
Lo conferma anche Federico Mosca di Runic.io, una delle aziende di riferimento, sul territorio italiano, per quello che riguarda la produzione e distribuzione di dispositivi di localizzazione.
Spesa in ricerca e sviluppo: un ritardo nazionale
Ad ogni modo, non sfugge il fatto che le elaborazioni che sopra abbiamo cercato di riassumere si inseriscano in misura più ampia all’interno di un quadro nazionale che manifesta un cronico ritardo da parte dell’Italia.
Secondo gli ultimi dati Istat, infatti, la spesa per la ricerca e per lo sviluppo intra-muros ammonta a 23,8 miliardi di euro, in aumento del 2,7% a/a ma pur sempre in grado di rappresentare un’incidenza pari al solo 1,38% del Pil e, peraltro, spinta essenzialmente dai fondi privati.
L’Istituto Nazionale di Statistica evidenzia, infatti, come delle fonti di finanziamento utilizzate per poter sostenere la spesa per R&D, il 55,2% provenga dal settore privato nazionale (13,1 miliardi di euro), mentre le istituzioni pubbliche siano in grado di pesare per il 32,3% (7,7 miliardi di euro). È dell’11,7%, invece, la quota di finanziatori stranieri (2,8 miliardi di euro), ed è limitata allo 0,8% quella universitaria (200 milioni di euro).
Dunque, un contesto che, pur dinamico e in grado di impattare notevolmente sul tessuto socio-economico nazionale (sono quasi mezzo milione gli addetti che a vario titolo si occupano di ricerca e di sviluppo, un terzo dei quali donne), manifesta l’impellente necessità di colmare il gap che separa l’Italia dal resto d’Europa. Un divario che, se contenuto, potrebbe avere riflessi molto significativi sulla produttività nazionale e, in particolar modo, su quella di regioni attualmente più in ritardo, come appunto la Sicilia.