Se il basket torna alle origini. Riflessioni a margine della proposta del Presidente della FIP Gianni Petrucci.
di Michele Bellavia
Il lockdown sta per finire ma, come era prevedibile, le discipline sportive faticano a ritornare alla normalità. Se da un lato si è aperto qualche spiraglio per la pratica di sport individuali, dall’altro lato, per quelli di squadra, non si intravede la luce in fondo al tunnel.
Il basket e tutto il movimento cestistico italiano hanno chiuso i battenti da un pezzo; il dibattito circa la ripartenza degli sport di squadra riguarda solamente il calcio in virtù della sua posizione di forza economica e di interessi ad esso legati.
In relazione alla palla a spicchi e alla ripresa di tutto il movimento in vista della prossima stagione, il presidente federale Gianni Petrucci ha rilasciato quanto segue: “Per ricominciare dopo l’emergenza coronavirus sto pensando alla possibilità, quest’estate, in caso di restrizioni e nel caso le autorità lo permettano, di riportare questo sport alle origini: giochiamo all’aperto”.
“Il nostro sport si presta, in particolare nel tre contro tre, ma anche nel basket giocato a cinque giocatori. Il clima in Italia ci aiuta. Perché non sfruttare questa opportunità per evitare il più possibile i rischi da contagio?”.
Petrucci ha anche affermato di aver commissionato al Politecnico di Torino lo studio di una mascherina specifica che possa essere indossata dai giocatori, consentendo di respirare e giocare.
Le parole del presidente federale aprono lo scrigno dei ricordi e offrono lo spunto per qualche riflessione; la pratica del basket all’aperto, infatti, è l’essenza di questo sport, ne costituisce un punto di partenza fondamentale e non un duplicato di quello praticato dentro il palasport.
Non a caso, negli anni pioneristici, molte blasonate società cestistiche mossero i primi passi nei campetti dell’oratorio e, in tal senso, Agrigento non fece eccezione.
A cavallo tra gli anni ’60 e ’70, infatti, fu il campo dell’ex Villa Garibaldi, sito in via De Gasperi, il teatro di epiche battaglie sia in campo maschile che femminile contribuendo alla formazione non solo di atleti ed atlete, ma anche di allenatori che fecero la storia di questo sport in città.
Man mano che il movimento cestistico agrigentino cresceva, tuttavia, apparve necessaria la costruzione di un moderno palasport, circostanza che comportò il trasferimento di gran parte dell’attività all’interno del nuovo PalaNicosia, segnando così il declino del glorioso campetto di Via De Gasperi.
A partire dalla seconda dagli anni ’80, esso subì un inesorabile abbandono seguito da una trasformazione in campo di calcio.
All’aperto rimase solamente il campo sito all’interno della Villa Del Sole, frequentato, perlopiù, a livello amatoriale e che, da metà anni ’90 fino ai giorni nostri, ebbe diverse trasformazioni, prima calcio a cinque, poi il ritorno al basket e, infine, nuovamente calcio a cinque.
Tuttavia, alcune realtà cestistiche continuarono a incarnare quello spirito pioneristico non rinunciando all’attività all’aperto. Fu il caso della squadra di basket della frazione del Villaggio Peruzzo che vinse il campionato di Serie D nei primi anni ’90 giocando nel campo situato di fronte la chiesa di San Pio X.
Anche nella vicina e “rivale” Porto Empedocle il movimento cestistico mosse i primi passi all’aria aperta; qui il campo di basket venne poi trasformato in palasport e dal 2004 intitolato alla memoria di Carmelo Hamel, “icona” del basket empedoclino, prematuramente scomparso.
Il borgo marinaro rimane tuttora l’unico posto per la pratica di questo sport all’aperto grazie ai due campetti antistanti il PalaMoncada.
Quali che siano le reali intenzioni della Federazione, non vi è dubbio che il basket all’aperto è il luogo della passione lasciata libera e che, in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo, può costituire la base per una rinascita di tutto il movimento.