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Home » Cronaca » Relazione Dia, la mafia agrigentina fa soldi facili con droga ed estorsioni

Relazione Dia, la mafia agrigentina fa soldi facili con droga ed estorsioni

18 Luglio 2020
in Cronaca, dalla città
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“Il contesto criminale della provincia di Agrigento, contraddistinto dalla costante e invasiva presenza di Cosa nostra, ha subìto una continua evoluzione nel perseguimento degli affari illeciti, spostandosi dall’originario ambito economico agro-pastorale verso settori ben più remunerativi, quali il traffico internazionale degli stupefacenti ed il controllo di attività economiche con riguardo, in particolare, all’edilizia e agli appalti pubblici.
Più di recente si registra la volontà della mafia agrigentina di interagire con consorterie mafiose di altre province siciliane in particolare con quelle palermitane delle quali replica la struttura in mandamenti e famiglie, e con realtà criminali di altre Regioni”. Si legge nella relazione semestrale (1 luglio/31 dicembre 2019) della Dia di Agrigento, che è coordinata dal vice questore. Tuttavia, quest’anno, la Dia ha deciso di analizzare anche l’influenza, che ha avuto il Coronavirus nelle dinamiche della criminalità organizzata. Il lungo periodo di lockdown, dal punto di vista economico, ha impoverito centinaia di famiglie, e messo in grosse difficoltà una buona parte delle imprese. Tra le conseguenze evidenziate dalla Dia, ci sono l’incremento del lavoro nero, e soprattutto, l’aumento del preoccupante fenomeno dell’usura. Roberto Cilona. Intervista

In alcuni territori della provincia, un ruolo di rilievo viene ricoperto dalla Stidda. Al riguardo, nel semestre in esame, hanno colpito un’organizzazione criminale di matrice stiddara, del tutto indipendente da Cosa nostra, che aveva fissato il “quartier generale” nel nord Italia, più precisamente nelle città di Brescia, Torino e Milano.
Il sodalizio, del quale facevano parte, tra gli altri, anche soggetti originari della provincia di Agrigento, ha permesso a centinaia di imprenditori di evadere il fisco per diverse decine di milioni di euro, cedendo crediti fiscali inesistenti e riciclando i profitti. Benché proiettata verso gli illeciti finanziari, la consorteria agiva secondo le vecchie regole di stretta e collaudata osservanza mafiosa.

Gli associati, infatti, “…si avvalevano della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo….che si sostanziava…nell’osservanza delle gerarchie e delle rigorose regole interne di rispetto ed obbedienza alle direttive dei vertici, con previsione di sanzioni in caso di inosservanza…”. Insieme alla Stidda, Cosa nostra agrigentina conferma il proprio radicamento sul territorio e la ricerca di alleanze presso i sodalizi delle vicine province. Essa continua ad essere strutturata in 7 mandamenti (Agrigento, Burgio, del Belice, Santa Elisabetta, Cianciana, Canicattì e Palma di Montechiaro) suddivisi a loro volta in 42 famiglie.

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