Ravanusa scopre un modello di santità: l’orsolina Angelina Tricoli che, durante la sua vita, trascorsa nel silenzio, intrattenne un lungo dialogo con Gesù, tanto da scrivere ben duemila pagine di diario spirituale che furono ritrovate nell’archivio del Seminario di Agrigento. Oggi, i teologi stanno riscoprendo questa figura e modello di vita spirituale, studiandone il contenuto degli scritti. Recentemente nella Chiesa Madre di Ravanusa è stata ricordata, con ampia partecipazione di fedeli, tramite un’iniziativa organizzata dal Centro di Bioetica, Evangelium vite e accolta favorevolmente dall’arciprete don Filippo Barbera e dal Sindaco Carmelo D’Angelo, durante la quale, la teologa, esperta in teologia spirituale, prof.ssa Luisa Bisaccia ne ha illustrato la figura sul tema Contemplazione e impegno sociale in Angelina Tricoli. Infatti, l’orsolina ravanusana trasmise la spiritualità evangelica, il desiderio di vivere in unione con Gesù, nell’impegno sociale, anticipando la scelta pastorale della Chiesa italiana. Come ci hanno riferito i nipoti, Mario e Angela Tricoli, Angelina Tricoli, sfidando le dicerie si recava nelle case delle donne moralmente discusse per portare la luce del Vangelo e per far sentire la carità cristiana al fine di un loro ravvedimento. Negli anni in cui visse Angelina, visitare certi ambienti era oggetto di scandalo, ma ella preferiva rimanere legata al genuino messaggio cristiano che alle ‘malelingue’ sempre pronte, come ‘farisei’, a puntare il dito. Da questo punto di vista, come ha rilevato lo storico Enzo Di Natali, Angelina Tricoli fu l’espressione autentica di una emancipazione delle donne, capace di rompere certi tabù e andare incontro ai sofferenti avendo come modello Madre Teresa di Calcutta.
Nonostante siano trascorsi molti anni dalla sua morte, ancora a Ravanusa ci sono persone viventi che hanno conosciuto e apprezzato l’apostolato di Angelina Tricoli, conservandone un vivo ricordo.
Se gli scritti non furono dispersi, un merito va certamente a mons. Nunzio Burgio che, da Ravanusa, li portò ad Agrigento per scrivere il suo primo volume Il tuo motto sì, che fece conoscere Angelina Tricoli ai futuri sacerdoti, tra cui l’Arciprete di Ravanusa, don Filippo Barbera che ne rimase affascinato.
Il Sindaco, Carmelo D’Angelo, ha espresso l’impegno dell’Amministrazione comunale al fine di far conoscere in provincia questa figura su cui teologi e storici nei prossimi anni dedicheranno ulteriori studi.
TESTIMONIANZA SU ANGELINA TRICOLI
della nipote Angela Tricoli
Era il 1973 quando Angelina Tricoli, mia zia, è morta.
Io avevo dieci anni, dunque i miei ricordi sono quelli di una bambina.
Ho vissuto la mia infanzia e giovinezza nella casa materna, tra via Cavour e cortile Rossini. Vivevamo tutti insieme, eravamo in dieci: i miei genitori, noi cinque figli e loro tre: i nonni e la zia; li chiamavamo semplicemente: Papapè, Mammagà e Angilì, se a lei ci rivolgevamo, Angiliddra, se di lei parlavamo.
I ricordi che ho sono immagini di vita quotidiana, scene di un vissuto semplice fatto di Chiesa, famiglia, vicine di casa e amiche.
Io mi rivedo in Chiesa, seduta ad aspettarla per ore, mentre lei, in ginocchio, stava al confessionale.
Per me, quel tempo era lunghissimo e interminabile.
Non riuscivo a capire… qualcosa non mi tornava; lei era buona, silenziosa, non si arrabbiava, pregava, ascoltava tutti e per tutti aveva parole di conforto e consolazione. “Perché tutto quel tempo” mi chiedevo.
Ora comprendo, lei non confessava mancanze o peccati: quello era il momento in cui raccontava al sacerdote dei suoi dialoghi con Gesù.
Da lei, ho imparato la preghiera “…per l’aumento delle vocazioni e, affinché ci siano sacerdoti santi”; ancora oggi, quando la recito durante il santo rosario, non c’è volta che il mio pensiero non torni a lei. Al suo pregare incessantemente per le vocazioni.
A casa, ricordo la stanza dei nonni, dove c’erano il lettone, il suo lettino e, al centro, un piccolo tavolo con un profondo cassetto.
Il tavolo era ricoperto da un telo damascato, sotto il quale una miriade di foglietti; il cassetto, invece, pieno di libri e, tra le pagine di ogni libro, i suoi scritti e tantissime immaginette che ricordavano la consacrazione religiosa dei giovani sacerdoti di Ravanusa. Quante vocazioni!
Tra i suoi libri ricordo “Storia di un’anima” la vita di santa Teresa di Lisieaux.
Quel libro, letto e riletto da zia, aveva le pagine staccate, i fili della rilegatura allentati che non le tenevano più unite.
Penso che quella Santa fosse il suo modello e la zia si rivedesse in lei.
Tante volte aprivamo quel cassetto; anch’io, come i miei fratelli e mia sorella, ho provato a leggere qualche riga, ma subito, inspiegabilmente, ero distolta; nessuno di noi fu mai mosso dalla curiosità di continuare la lettura.
In famiglia, di quegli scritti su fogli di carta di pane, di pagine di calendario … si diceva soltanto “Li cosi di Angiliddra”.
Oggi, sono fortemente convinta che Qualcuno mi e ci distoglieva dal continuare.
Quel tavolo custodiva il suo mondo e nessuno di noi vi entrava.
Nel cassetto riponeva anche le sue forbici da sarta, il metro, il gesso grigio per segnare le stoffe che, con le sue piccole mani d’oro, sarebbero diventate gonne, soprabiti, camicette per le giovani donne, che a lei affidavano la loro eleganza e, tra un punto e una prova, ricordo il suo soffermarsi ad ascoltarle mentre raccontavano le ansie, le preoccupazioni o qualche litigio familiare.
La zia era fonte di consolazione.
Anche don Nunzio Burgio, dopo la morte di zia, quando il sabato, libero dagli impegni del seminario, veniva a trovarci, sedeva a quel tavolo e ci poneva domande e domande e annotava con meticolosità le nostre risposte. Aveva bisogno di capire, perché ciò che aveva tra le mani era prezioso e sconvolgente al tempo stesso.
E noi tutti, in quel tempo, pur avendo cercato, trovato raccolto, riempito sacchetti, pur conoscendo la bontà di zia, la sua profonda fede, il suo essere totalmente abbandonata a Dio, pur conoscendo la sua storia, ne eravamo infastiditi.
Non comprendevamo.
Non eravamo pronti a raccontare e a raccontarci, forse perché presi dalle difficoltà di quel complicato periodo. Forse perché troppo giovani.
Raccontarsi è sempre difficile. Io adesso lo faccio con gioia.
Gli incontri come quello di oggi, il cammino di conoscenza di zia, voluto fortemente, fin dal suo arrivo nella nostra Ravanusa, da don Emanuele Casola, a cui noi tutti abbiamo un debito di riconoscenza, mi hanno aiutata a ripensare a quel periodo, a rivedere zia Angelina, quei momenti di vita quotidiana e a vestirli di nuova luce.
Oggi comprendo perché, in estate, si adagiava su uno degli scalini che portavano dal piano terra al primo piano, con un vestito logoro, vecchio… sento ancora mia sorella e mia madre dirle di riposare sul letto. Rivedo il suo sorriso e, con un filo di voce, dire che con il caldo dei pomeriggi estivi il fresco del pavimento le dava sollievo.
Oggi so che, in quella posizione scomoda e, per il suo stato di salute, assolutamente sconsigliata, in silenzio, lei pregava e offriva ogni sacrificio, ogni mortificazione per la salvezza delle anime o per qualche bisogno.
Ci faceva pregare.
Un Capodanno, seduti attorno al tavolo della cucina, recitammo il Santo Rosario. Non era semplice che quattro giovani si fermassero: lei dolce e decisa nelle scelte e nelle richieste, riusciva ad avere il nostro assenso.
Oggi comprendo che Angelina era credibile; perciò a lei non si poteva dire di no.
In famiglia era punto di riferimento e per arrivare al cuore dei problemi, che ne mancavano, non utilizzava parole. Pregava.Poi, forte di quella preghiera, agiva e affrontava ciò che c’era da affrontare.
Quell’otto marzo del 1973 ricordo il pianto di mia madre e il silenzio di mia nonna; mia nonna che l’aveva sempre rimproverata ,che non condivideva le scelte di quella giovane figlia così diversa dalle altre ragazze che andava, con libertà e senza timore di essere giudicata, in quelle case dove, secondo lei e “ la gente” si viveva nel peccato.
Mia nonna, nonostante le sue opposizioni, aveva compreso e mia madre si sentiva sola e persa.
TESTIMONIANZA SU ANGELINA TRICOLI
del nipote Mario Tricoli
Ricordare mia zia Angelina significa ripercorrere un lungo tratto della mia vita, significa necessariamente ricordare il tempo della mia gioventù, scavare tra i ricordi del tempo passato.
Per me che ho vissuto per circa 27 anni accanto a mia zia Angelina non è cosa semplice.
Abitavamo nella casa dei nonni materni, tutti insieme, i nonni, mia zia Angelina e la mia famiglia di origine.
Mia madre, sorella di Angelina, appena sposata, con mio padre, continuò a vivere nella stessa casa dei genitori, per cui sono cresciuto insieme a miei due fratelli e alle mie due sorelle, a stretto contatto di Angelina.
Di quel tempo ricordo che la sera mia nonna mi mandava dalla signorina Carmelina Miceli, la sarta che per prima la indirizzò sulla strada di Gesù, per fare compagnia alla zia che doveva rientrare a casa.
Regolarmente aspettavo, anche delle ore, perché in quella casa, oltre al cucito, si pregava e si diceva il rosario ogni sera.
Era il tempo in cui osservavo e non capivo.
Poi da grande, dopo la sua morte e dopo aver cominciato a leggere gli scritti che spuntavano da tutti i cassetti ho cominciato a comprendere il perché, quando la sera tardi rientravo a casa e la trovavo sempre seduta al tavolo della cucina, scriveva assorta nella preghiera e nei suoi pensieri.
Pur abitando nella stessa casa non sfiorò mai a me o agli altri miei familiari il desiderio di andare a spulciare nei foglietti che lasciava nel cassetto del tavolo in cui solitamente teneva le sue cose.
Forse Dio guidava le nostre azioni e i nostri comportamenti. Non voleva che profanassimo la sua intimità.
Poi da grande, dopo la morte improvvisa di Padre Nunzio Burgio, direttore spirituale di Angelina e profondo conoscitore della sua anima e della sua immensa spiritualità, in possesso degli scritti di Angelina e autore di due volumi dedicati alla zia: “IL TUO MOTTO SI” (1978) e “LA MESSAGERA DEL SI” (1989), ho cominciato a comprendere quello che non avevo compreso.
La lettura dei due volumi di Padre Nunzio Burgio mi dava un senso profondo di inquietudine. La lettura mi metteva mille dubbi. Mi chiedevo se io conoscevo veramente Angelina. Mi chiedevo ma di lei cosa sapevo io veramente.
Cosa sapevano veramente quelli che l’avevano conosciuta.
Era davvero una messaggera del Signore, una donna di grande spiritualità, una mistica che parlava con Gesù o era semplicemente un’invasata visionaria?
Non riuscivo a darmi una risposta.
E per conoscere meglio mia zia Angelina e ciò che portò una donna di umile origini a diventare oggetto di studio di padre Nunzio Burgio, confessore e direttore spirituale di Angelina dopo padre Traina, mi fu necessario leggere tutti gli scritti che aveva lasciato.
Dalla lettura ho compreso che in quello scrivere vi era veramente il volere di Dio.
Certamente fu Dio a guidare padre Giuseppe Traina, quando nel 1956 arrivò come arciprete a Ravanusa. Egli entrò presto in contatto con Angelina e piano piano ella comincio ad aprirsi, raccontò dei suoi colloqui con Gesù e di quello che Gesù le diceva.
Padre Traina entrò in costernazione perché non capiva quello che Angelina le raccontava e allora le consiglio di scrivere, anzi la costrinse a scrivere. Angelina quindi non scrive di sua spontanea volontà, scrive sotto la guida del suo confessore – direttore spirituale. Senza padre Traina certamente non avremmo avuto gli scritti che Angelina ci ha lasciato.
Sono oltre 2000 fogli, fogli di spiritualità intensa, fogli scritti da un’anima che viveva la sua vita con Gesù e per Gesù.
Fino al 2013 gli scritti sono rimasti sepolti e racchiusi in uno scatolone dell’archivio del Seminario di Agrigento, come cose appartenute a Padre Nunzio Burgio. Poi furono ritrovati e portati alla luce. Chissà se anche in questo non vi è il volere di Dio.
Quel ritrovamento, ancora una volta, mi ha portato al tempo passato, al desiderio di conoscere meglio mia zia Angelina.
Mettere ordine in quegli scritti, leggerli e trascriverli mi ha aperto tutto il suo mondo, il suo sorriso sempre luminoso, la sua semplicità, la sua profonda spiritualità, la sua vicinanza alle anime bisognose di conforto, al suo pregare costantemente per i sacerdoti, al suo essere sempre con Gesù.
Ricordo che quando la sera tardi, all’una alle due di notte, all’epoca mi piaceva giocare a carte, chiacchierare con gli amici, rientravo a casa, Angelina era li, seduta al tavolo della cucina, che scriveva. Mi guardava sempre con i suoi grandi occhi, con il suo sorriso, con la sua semplicità. Non ci facevo caso. Ora capisco cosa scriveva e cosa faceva. Pregava e parlava con il suo Gesù.
Il profondo colloquio con Gesù la estraniava da tutto e da tutti.
Dai suoi scritti emerge tutta la sua spiritualità, si leggono implorazioni a Gesù per la salvezza delle anime che non vivevano in grazia di Dio.
“Gesù, tu hai usato la prepotenza con me, ed io uso la violenza con te: quell’anima si deve salvare e non si scappa.
Forse che quell’anima non è l’immagine tua? Non è stata creata da Te? Forse non sei morto per lei sulla croce? Non costa il tuo preziosissimo sangue ?”
Così parlava con Gesù.
Si legge ancora il suo pregare per tutte le situazioni di disagio presenti nelle famiglie. Erano famiglie e persone che nessuno avvicinava, o perché magari convivevano,
la convivenza all’epoca era considerata dalla Chiesa motivo di scandalo, o perché magari facevano una vita sregolata o anche il mestiere di prostituta.
A lei non interessava quello che gli altri dicevano, quello che pensava la Chiesa, non interessavano i continui rimproveri di sua mamma o della sorella, a lei non interessava quello che diceva la gente e le dicerie degli altri, a lei interessava solamente quello che sentiva nel suo cuore, quello che Gesù le diceva.
Andava tranquillamente e senza paura in quelle famiglie, parlava con loro, senza giudicare, con la semplicità e il sorriso che gli derivavano dalla presenza di Gesù.
Le persone l’ascoltavano, perché lei portava solamente una parola di conforto, perché non giudicava non rimproverava. Angelina parlava solamente di Gesù, della sua grande misericordia, della sua bontà, del suo essere vicino a tutti i bisognosi.
Andava regolarmente dai ragazzi che non potevano frequentare il catechismo, perché costretti, fino a tardi, alla campagna. La sera quando rientravano, dopo cena, si recava nelle loro abitazioni e a quei ragazzi insegnava il catechismo.
Le famiglie l’accoglievano perché la tenevano in grande considerazione, la rispettavano per la sua semplicità, per la sua bontà d’animo, per la sua umiltà, per la sua profonda religiosità, per il suo essere donna di chiesa, senza presunzione e senza ostentazione.
Non aveva paura di andare nelle famiglie di quei ragazzi o di andare nelle famiglie più “chiacchierate” del paese. Non aveva paura di rientrare tardi la sera. Era rispettata da tutti e tutti la rispettavano.
Ricordo che ogni sera mia nonna la rimproverava per il suo andare in “certe famiglie”, per quello che poteva dire la gente, per il suo rientrare tardi la sera. Lei rispondeva con il suo sorriso disarmante e rivolgendosi a lei diceva “a me non può succedere niente perché con me c’è lu signiruzzu”.
La ricordo sempre serena e con il sorriso sulle labbra. Ricordo che non parlava mai male di nessuno, che non giudicava mai nessuno. Quando in paese succedevano fatti delittuosi o quando persone venivano coinvolte in azioni sconvenienti o immorali il suo massimo commento era: “cchi sapiemmu nuatri”, “lu signiruzzu sapi cchiossa”. Poi dagli scritti ho scoperto che pregava intensamente per loro, per la loro anima, per la loro salvezza.
Gli scritti che Angelina ci ha lasciato non finirò mai di conoscerli abbastanza, ma credo che chi avrà modo di studiarli in maniera più approfondita, ci aiuterà a comprenderli ancora meglio.
Sul carattere soprannaturale di quanto è in essi contenuto, come ha detto padre Nunzio Burgio, può essere giudice soltanto la suprema autorità della Chiesa. Noi indentiamo semplicemente recuperare e riportare i ricordi del tempo passato, di quegli anni vissuti insieme ad Angelina.