Nessuno, ad oggi, è stato formalmente accusato della morte del piccolo.
Favara, 22 aprile 1999. Viene aperto il fuoco contro un fuoristrada che sta percorrendo il tratto Favara-Villaggio Mosè. Il rimbombo dei tre colpi di fucile riecheggia nell’aria, l’autovettura viene danneggiata e la vita di un bambino a bordo viene spezzata: si tratta del piccolo Stefano Pompeo, involontariamente protagonista di una tragedia che avrebbe sconvolto una comunità intera. Stefano è appena un bambino quando, alla tenera età di 11 anni, il destino, infausto giullare delle esistenze umane, stabilisce la sua innocente morte in un turbinio di eventi indesiderati. Il piccolo quel giorno si trova con il padre nella casa di Carmelo Cusumano, ritenuto il capo di una cosca del paese, avvolta nelle nebbie dell’illegalità. Forse ignaro dei sottili fili che intessono il destino, decide di salire sul fuoristrada di Cusumano guidato da Vincenzo Quaranta, per andare a comperare il pane. Tuttavia, poco dopo l’auto viene colpita da tre colpi di fucile e Stefano è raggiunto dal freddo bacio del piombo alla testa, ponendo fine alla sua giovane vita in un attimo di follia omicida. Gli assassini credono erroneamente che Carmelo Cusumano sia seduto sull’auto e così, nella loro ignoranza, tolgono la vita a un fanciullo innocente, spargendo dolore come unguento sulle ferite di un mondo già martoriato.
L’orrore e la disperazione che seguirono quella tragica giornata furono palpabili. Favara si scosse dalle fondamenta, la voglia di giustizia si fece sentire forte e chiara. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Caltanissetta, Laura Vaccaro, con le radici ben piantate nel suolo di Favara, si impegnò con determinazione a garantire che l’omicidio di Stefano non rimanesse impunito. E l’indagine, portata avanti dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, si concentrò sulle parole di un uomo, Maurizio Di Gati, figura ambigua, un tempo soldato della mafia ora trasformatosi in un informatore della giustizia. Le sue confessioni gettarono luce sulle tenebre della mafia, rivelando dettagli sinistri di un intrigo orchestrato tra potenti. Stefano Pompeo, nel racconto di Di Gati, emerse come una vittima innocente di una guerra tra i clan dei Cusumano e dei Vetro, simboleggiando la lotta intestina tra Cosa Nostra e la ‘Ndrangheta. Ma un anno dopo la tragedia, la criminalità organizzata di Favara pagò un prezzo elevato per il grave errore commesso, poiché l’operazione “Fratellanza” portò all’arresto di 34 membri delle due organizzazioni criminali coinvolte. In seguito, nel 2019, nel registro degli indagati per questo tragico omicidio comparvero i primi tre nomi: Vincenzo Quaranta e i fratelli Pasquale e Gaspare Alba, nomi fatti già anni prima ma che sarebbero stati confermati da Giuseppe Quaranta, nuovo collaboratore di giustizia. Tuttavia nessuno è stato formalmente accusato della morte di Stefano Pompeo, la cui anima martoriata da una guerra non sua rimane tutt’oggi assetata di giustizia.