Giovanni Di Leo condanna fermamente l’escalation di violenza e richiama alla responsabilità collettiva per una società più giusta.
Il Procuratore capo di Agrigento, Giovanni Di Leo, ha lanciato un forte monito in seguito agli eventi che hanno scosso la comunità locale, portando alla morte di Roberto Di Falco, un commerciante di auto di 38 anni. In una conferenza stampa densa di significato, Di Leo ha evidenziato la necessità di una profonda riflessione sulla cultura della violenza e della vendetta personale che ha causato tale tragedia.
Secondo l’accusa, Di Falco insieme ad altre tre persone avrebbe guidato una spedizione punitiva per vendicare un presunto torto subito in una compravendita di auto. Tuttavia, durante la colluttazione, si è verificata una tragedia che ha portato alla morte dello stesso Di Falco, colpito da un colpo di pistola partito dalla sua stessa arma.
Il Procuratore Di Leo ha condannato fermamente l’uso della violenza come mezzo per risolvere controversie, sottolineando che nessun debito o torto giustifica un tale comportamento. Le sue parole sono state nette e incisive:
“E’ necessario sollecitare una riflessione comune soprattutto in chi è protagonista di vicende di questo tipo che distruggono la vita di intere generazioni. Devono rimettersi all’autorità giudiziaria nelle scelte per non perpetuare una cultura che va debellata, cioè quella che si possa risolvere qualsiasi tipo di problematica a colpi di pistola, o accoltellando la moglie che si vuole separare. Tutto questo è frutto di una cultura che disonora questa terra”.
Le sue parole rappresentano un monito chiaro contro la violenza e l’escalation di vendetta personale, sottolineando che tali comportamenti non devono trovare spazio in una società civile e giusta. Ha anche enfatizzato l’importanza di un serio lavoro culturale per fermare questa spirale negativa e promuovere una cultura del rispetto e della legalità.
Il caso tragico di Agrigento serve da campanello d’allarme, richiamando tutti alla responsabilità individuale e collettiva nel promuovere una convivenza pacifica e rispettosa delle leggi. Solo attraverso un impegno comune per la pace e la giustizia possiamo sperare di porre fine a tali atti aberranti e costruire un futuro migliore per le generazioni a venire.
L’episodio nel Villaggio Mosè rimane un campanello d’allarme, una testimonianza delle devastanti conseguenze della violenza e dell’ingiustizia. Solo attraverso un impegno comune per la pace e la giustizia possiamo sperare di porre fine a tali atti aberranti e costruire un futuro migliore per le generazioni a venire.
“Una vicenda – sottolinea il procuratore – che in una qualsiasi società normale non potrebbe avere e non deve avere diritto di cittadinanza. Non è ammissibile che per un debito non pagato, questo è il movente allo stato degli atti, si possa ricorrere ad una violenza di questo tipo, in cui poi tragicamente a rimetterci la vita è stato uno degli aggressori per circostanze fortuite. Questa spirale – aggiunge Di Leo – deve essere fermata e se non c’è un serio lavoro culturale degli stessi protagonisti sulle famiglie e si prosegue nella ricerca di una vendetta personale, la situazione non può che peggiorare”. “E’ necessario sollecitare una riflessione comune soprattutto in chi è protagonista di vicende di questo tipo che distruggono la vita di intere generazioni. Devono rimettersi all’autorità giudiziaria nelle scelte per non perpetuare una cultura che va debellata, cioè quella che si possa risolvere qualsiasi tipo di problematica a colpi di pistola, o accoltellando la moglie che si vuole separare. Tutto questo è frutto di una cultura che disonora questa terra”. Così in conferenza stampa il procuratore di AGRIGENTO, Giovanni Di Leo. Il magistrato ha incontrato i cronisti per lanciare un forte monito in seguito ai fatti che hanno portato nei giorni scorsi alla morte di Roberto Di Falco, 38 anni, commerciante di auto che sarebbe deceduto dopo essere rimasto gravemente ferito da un colpo di pistola partito dalla sua stessa arma. Secondo l’accusa Di Falco, insieme ad altre tre persone oggi fermate (Angelo Di Falco, 39 anni, fratello della vittima, Calogero Zarbo, 40 anni e Domenico Avanzato, 37 anni, tutti di Palma di Montechiaro) avrebbe guidato una spedizione punitiva per vendicare un torto subito rispetto ad una compravendita di auto. Durante la colluttazione però è avvenuta la tragedia. “Una vicenda – sottolinea il procuratore – che in una qualsiasi società normale non potrebbe avere e non deve avere diritto di cittadinanza. Non è ammissibile che per un debito non pagato, questo è il movente allo stato degli atti, si possa ricorrere ad una violenza di questo tipo, in cui poi tragicamente a rimetterci la vita è stato uno degli aggressori per circostanze fortuite. Questa spirale – aggiunge Di Leo – deve essere fermata e se non c’è un serio lavoro culturale degli stessi protagonisti sulle famiglie e si prosegue nella ricerca di una vendetta personale, la situazione non può che peggiorare“.
Vincenzo Perta il nuovo dirigente della Squadra Mobile della Questura di Agrigento ha spiegato altri dettagli delle indagini: