Un plauso ai Carabinieri del Comando Provinciale di Agrigento, guidati dal Colonnello Pellegrino che, nella notte hanno eseguito una massiccia operazione antimafia, disposta dalla DDA di Palermo. A sostenerlo è Ignazio Cutrò, Presidente dell’Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia, lanciando un appello ad imprenditori e, ai semplici cittadini, persone informate sui fatti che denuncino e informino le Forze dell’Ordine su ogni elemento utile all’indagine.
L’inchiesta dei carabinieri che, oggi, ha portato all’arresto di 56 mafiosi dell’agrigentino, appartenenti anche al mandamento della Bassa Quisquina e, avente legami persino con la ‘ndrangheta, ha svelato, diversamente da quanto emerso negli atti che hanno portato alla revoca delle misure speciali adottate nei miei confronti, che la mafia della montagna è ancora profondamente radicata sul territorio.
Richiamando le dichiarazioni rilasciate dagli inquirenti, durante la conferenza stampa:
Questa circostanza, secondo gli inquirenti – conferma «la presenza e la vitalità e l’effetto intimidatorio che Cosa nostra continua ad produrre nella zona dell’agrigentino». «C’è un mafioso che riesce a definirsi il “fiore all’occhiello” della mafia siciliana – ha raccontato Lo Voi – criticando addirittura il venir meno nella provincia palermitana di personaggi affidabili».
Lo Voi ha detto che il blitz «è in assoluto una delle più grosse operazioni antimafia eseguite nel territorio dell’agrigentino». E ha spiegato che «Cosa Nostra è ancora un’attuale e vitale presenza sul territorio agrigentino». Un territorio «continuamente alla ricerca di contatti» con mandamenti di altre province «dell’intero territorio siciliano» e anche «contatti con personaggi calabresi per attività droga». E ha detto che «si tratta di una indagine che è durata alcuni anni».
Dalla inchiesta emerge che, uno degli arrestati, il bivonese Giuseppe Spoto, nominativo emerso anche nell’ambito del processo scaturito dalle mie denunce (Il procedimento penale face-off), è ritenuto dai magistrati non solo il reggente della famiglia mafiosa di Bivona ma anche il rappresentante, quindi il vertice, di tutte le famiglie mafiose del mandamento c.d. “della montagna”.
Eppure, dichiara Ignazio Cutrò presidente dell’Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia, gli organi preposti alla mia sicurezza, tra cui la prefettura di Agrigento, le forze dell’ordine e la Procura, avevano espresso parere favorevole alla revoca delle mie misure speciali di protezione, poiché la famiglia Cutrò non correva attualmente un concreto pericolo di vita. Ora, pur esprimendo il mio plauso per l’operazione messa in atto, non posso che chiedere al Ministro dell’interno, Marco Minniti, e al nuovo prefetto di Agrigento, Dario Caputo, se intendano rivedere la loro decisione di revoca delle misure speciali di protezione, considerato che gli ultimi accadimenti suscitano non solo viva preoccupazione sulla mia sicurezza e su quella della mia famiglia, ma anche il sospetto che qualcosa non abbia funzionato a dovere. Troppi, infatti, a pensar bene ingenuamente ed a pensare male molto probabilmente, si erano affrettati ad affermare che la mafia ad Agrigento era stata sconfitta e, non hanno battuto ciglio sul fatto che io e la mia famiglia corriamo, alla luce di queste inchieste giudiziarie, a tutt’oggi un concreto e costante pericolo di vita.