CAMPOBELLO DI LICATA. Confermata anche in Appello la condanna per la morte del pensionato di 73 anni Calogero Profeta sbranato e ucciso da due cani davanti alla sua casa di campagna a Campobello di Licata. I giudici palermitani, in sostanza, hanno ritenuto giusta l’applicazione della pena di un anno di reclusione, per l’accusa di omicidio colposo, a Girolamo Emanuele Rinallo, campobellese di 32 anni.
Il padre Gioacchino, 56 anni, in precedenza aveva patteggiato dieci mesi e venti giorni di reclusione evitando un vero e proprio processo contrariamente al figlio che, difeso dall’avvocato Carmelo Casuccio, ha sostenuto invece di non essere il proprietario dei cani che scapparono dal terreno e uccisero il pensionato. Il giudice lo ha condannato anche a risarcire i familiari dell’anziano (costituiti parte civile con il patrocinio degli avvocati Salvatore Manganello, Vincenza Gaziano e Giovanni Lo Leggio) ai quali dovrà pagare subito una provvisionale di 10 mila euro.
Il 21 aprile del 2012 la tragedia: Calogero Profeta fu sbranato e ucciso da due cani corso dei vicini che lo aggredirono agli arti e al volto dilaniandolo e non lasciandogli scampo. In primo grado, quando il processo è stato celebrato al Tribunale di Agrigento, il pubblico ministero Calogero Montante aveva chiesto la condanna a due anni per Girolamo Rinallo. Conclusa l’inchiesta il pubblico ministero Salvatore Vella aveva chiesto il rinvio a giudizio, per l’accusa di omicidio colposo, nei confronti dei due proprietari dei molossi accusati di non avere impedito la tragedia. Il padre, comparso davanti al giudice per le udienze preliminari, Stefano Zammuto, aveva chiuso subito la sua partita giudiziaria. L’aggressione è avvenuta in contrada Burginisi, a Campobello di Licata. I cani, di razza Corso, si trovavano in un terreno agricolo distante circa duecento metri da quello di Profeta. Il settantenne, secondo la ricostruzione dell’episodio, era davanti al cancello della sua abitazione di campagna dove sarebbe stato raggiunto dai cani che lo avrebbero aggredito al volto, alle gambe e alle braccia.
Determinante, ai fini del processo era stata la testimonianza del funzionario del servizio veterinario Salvatore Cavaleri, intervenuto dopo l’aggressione. “C’erano già stati altri episodi di aggressività da parte dei due cani – aveva rivelato in udienza, durante l’esame da parte del pubblico ministero e dei legali di fiducia degli imputati e della parte civile”. Questa dichiarazione ha dunque convinto il giudice di primo grado ad applicare una sentenza di condanna sia per il genitore, che si era autoaccusato ed aveva patteggiato la pena, sia per il figlio che chiedeva di essere scagionato perché non essendo il proprietario degli animali era estraneo alla vicenda. Ma l’accusa ha retto sia in primo grado che in Appello.