Il pubblico ministero della Dda di Palermo, Claudio Camilleri, ha chiesto 26 condanne nel processo, con il rito abbreviato, scaturito dalla maxi operazione dei carabinieri del Comando provinciale di Agrigento, guidati dal colonnello Nicola De Tullio e dal suo vice il tenente colonnello Vincenzo Bulla, scattata in due fasi, fra dicembre e gennaio scorsi, sulle famiglie mafiose di Agrigento/Villaseta e Porto Empedocle. Alcuni giorni dopo il primo blitz, i carabinieri sono riusciti a sequestrate una parte del denaro della cosca di Villaseta ma soprattutto un pericoloso arsenale: pistole, una granata e un fucile mitragliatrice. Contestati i reati di associazione a delinquere di tipo mafioso, traffico di droga, rapine, danneggiamenti ed estorsioni.
Queste le richieste formulate dall’accusa: 20 anni di reclusione ciascuno sono stati chiesti per Pietro Capraro, ritenuto a capo del clan di Villaseta; Fabrizio Messina, fratello del boss Gerlandino, indicato come capo della cosca di Porto Empedocle; Gaetano Licata e Vincenzo Parla.
Le altre richieste di condanna: Alfonso Lauricella di Favara, 12 anni; Fabrizio Messina Denaro, 10 anni e 8 mesi; Cosimo Ferro, 10 anni e 8 mesi; Francesco Firenze, 10 anni e 8 mesi; Domenico Blando di Favara, 8 anni; Samuel Pio Donzì, 6 anni e 2 mesi; Carmelo Fallea di Favara, 6 anni e 8 mesi; Giuseppe Focarino, 8 anni; Roberto Parla, 5 mesi; Calogero Prinzivalli, 3 anni; Rocco Grillo, 9 anni e 8 mesi; Giuseppe Pasqualino, 9 anni, 8 mesi; Mirko Salvatore Rapisarda, 8 anni e 4 mesi; James Burgio, 4 anni; Gioacchino Giorgio, 5 anni e 4 mesi; Giuseppe Piscopo, 7 anni; Antonio Puma, 6 anni e 8 mesi; Stefano Rinallo, 5 anni e 4 mesi; Antonio Salinitro, 4 anni; Rosario Smorta, 7 anni, 2 mesi e 20 giorni; Salvatore Prestia, 5 anni e 4 mesi e Alessandro Mandracchia, 7 anni e 4 mesi, quest’ultimo ritenuto l’armiere del clan di Villaseta, la cui posizione in un primo momento era stata separata dalle altre.
L’inchiesta, coordinata dai pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia di Palermo Claudio Camilleri, Giorgia Righi e Luisa Bettiol, ha ricostruito i nuovi assetti delle cosche agrigentine, individuando in Fabrizio Messina e Pietro Capraro i presunti reggenti dei clan di Porto Empedocle e Villaseta. L’indagine ha sgominato anche un vasto traffico di cocaina e posto fine a una vera e propria guerra che le cosche avevano intrapreso fra loro con attentati e intimidazioni per garantirsi il controllo dello spaccio.
Come è nata la maxi inchiesta antimafia. Dalle pagine dell’ordinanza emergono i dettagli dell’operazione antimafia che ha messo in ginocchio le famiglie mafiose di Agrigento/Villaseta e Porto Empedocle. La prima sarebbe stata guidata dal boss Pietro Capraro; la seconda, invece, sarebbe stata saldamente nelle mani di Fabrizio Messina, fratello del boss ergastolano Gerlandino. Le indagini nascono dal rinvenimento di due ingenti quantitativi di cocaina – tra il dicembre 2021 e il gennaio 2022 – all’interno di un banco al mercato ortofrutticolo di Villaggio Mosè. In entrambe le circostanze era stato il titolare della ditta a trovare la polvera bianca occultata all’interno di alcune cassette di frutta, mentre procedeva alla verifica di un carico di banane proveniente dal Sud America. Non ci hanno messo molto gli investigatori dell’Arma ad arrivare ad una conclusione: i commercianti con il traffico di droga non avevano nulla a che fare, ma hanno scoperto un collegamento tra un lavoratore del mercato ortofrutticolo con i membri del clan di Porto Empedocle.
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