AGRIGENTO. E’ stata pubblicata sul sito del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati la “Relazione del Ministro dell’Interno sull’attività svolta e i risultati conseguiti dalla D.I.A.” nel secondo semestre 2018.
ECCO IL PASSAGGIO SULLA PROVINCIA DI AGRIGENTO
Appare utile evidenziare la situazione socio-economica della provincia. L’area soffre di una diffusa situazione di disagio, legata ad un contesto ambientale che in molti casi non incoraggia il cambiamento in senso propositivo ed attivo. Esemplificativo, in tal senso, il fatto che, sebbene sia presente sul territorio un sito archeologico di particolare significatività, quale la “Valle dei Templi”, la provincia abbia fatto registrare una variazione leggermente negativa degli arrivi e delle presenze turistiche tra il 2016 e il 2017. Sussistono carenze strutturali ed organizzative (anche con riferimento alle inefficienze nei servizi pubblici essenziali, quali quelli dell’erogazione dell’acqua e della gestione dei rifiuti). A ciò si unisce l’azione invasiva dei sodalizi mafiosi, i quali incidono sulla crescita e sulle possibilità di valorizzare il territorio.
La presenza del fenomeno mafioso determina infatti, tra l’altro, condizioni di monopolio in alcuni settori imprenditoriali, il controllo illecito della manodopera ed in generale la distorsione delle regole della concorrenza. Un importante settore economico, di interesse per la criminalità organizzata, è quello delle energie alternative, che si aggiunge alle tradizionali attività del movimento terra, della produzione di calcestruzzo e del cemento, dell’agricoltura e della distribuzione alimentare. Focalizzare l’attenzione su tali aspetti può meglio orientare le attività di prevenzione in quanto, in particolare con riferimento agli impianti fotovoltaici, la provincia di Agrigento risulta la seconda dell’Isola per numero di installazioni ed energia prodotta, preceduta solo dalla provincia di Catania.
Da evidenziare, inoltre, che nella provincia si stanno realizzando opere infrastrutturali di una certa rilevanza che sono oggetto di costante monitoraggio antimafia da parte delle Istituzioni. Per quanto concerne l’articolazione delle strutture criminali, nella provincia di Agrigento, Cosa nostra riveste sempre un ruolo di assoluta preminenza, nel “sistema mafioso” siciliano, confermandosi tra le strutture provinciali più solide e ancorate alle tradizionali regole mafiose. L’organizzazione criminale, rimasta nei profili essenziali unitaria e verticistica, si conferma suddivisa nella tradizionale ripartizione in mandamenti (7) e famiglie (42).
Nel panorama mafioso agrigentino è poi presente la Stidda, in origine nata per scissione da Cosa nostra e alla quale si contrapponeva. Attualmente, invece, coesistono ed esercita la sua influenza nelle aree di Palma di Montechiaro, Porto Empedocle, Naro, Favara, Canicattì, Campobello di Licata, Camastra e Bivona. Entrando più nel dettaglio Cosa nostra agrigentina, con un’articolazione capillare e radicata, continua ad avere una notevole potenzialità criminale, grazie ad un pregnante controllo del territorio e ad una significativa capacità d’infiltrazione e di condizionamento del tessuto economico, sociale e amministrativo. Ciò è favorito anche, come accennato, dal degrado economico-sociale che storicamente connota ampie aree della provincia.
Una situazione che consente alle consorterie mafiose sia di reclutare manodopera in un ampio bacino di disoccupati che di poter riscuotere un certo consenso nelle fasce più emarginate e bisognose della popolazione. La vicinanza con la provincia trapanese e i legami tra componenti agrigentine e soggetti vicini al latitante MESSINA DENARO concorrono a rendere fluida la situazione di una parte degli assetti territoriali mafiosi e della loro governance di vertice. In generale, comunque, la mafia agrigentina si connota per una significativa capacità di interazione con le consorterie mafiose delle altre province dell’isola – confermando così la struttura unitaria di Cosa nostra – e le realtà criminali di altre regioni. Inoltre, l’articolazione girgentina di Cosa nostra si distingue per una rilevante capacità di ricostituire e rimodulare velocemente i gruppi operativi e le famiglie.
Emerge nella provincia un riassetto interno all’organizzazione mafiosa, perché imposto principalmente dalle più recenti attività investigative, con le quali sono state tratte in arresto figure apicali, ancora detenute. In particolare ciò è avvenuto, oltre che con l’importante operazione “Montagna” del gennaio 2018 (che ha documentato la rimodulazione organizzativa nell’entroterra montano della provincia con la formazione di una nuova articolazione mafiosa denominata, per l’appunto, mandamento della Montagna, anche con l’ultima operazione di contrasto al crimine organizzato, che ha colpito il vertice del mandamento del Belice.
Tale recente attività investigativa è stata conclusa dalla Polizia di Stato che, il 29 ottobre 2018, ha eseguito un fermo di indiziato di delitto ed il successivo 19 novembre ha notificato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un soggetto di Sambuca di Sicilia, da decenni al vertice di Cosa nostra nella provincia di Agrigento, per il reato di associazione di tipo mafioso. Le indagini hanno dimostrato che, dopo la scarcerazione intervenuta nel 2015, questi abbia ricoperto immediatamente il ruolo di capo del mandamento del Belice. I citati disegni di composizione e ricomposizione di famiglie e mandamenti ed i progetti affaristico-criminali sono influenzati anche dalle scarcerazioni di affiliati, in particolar modo se già detentori di ruoli apicali in seno all’organizzazione mafiosa. Quest’ultimi, dopo aver scontato la pena, hanno infatti interesse a riprendere appieno le pregresse posizioni di potere, generando così, in taluni casi, frizioni sia nel territorio di appartenenza che in quelli limitrofi. In tale ambito si segnalano, nel periodo in esame, le scarcerazioni di soggetti, anche con ruoli di vertice, appartenenti alle famiglie di Menfi, Santa Margherita Belice e Santa Elisabetta.
Come accennato in premessa, la criminalità organizzata mafiosa da sempre condiziona negativamente lo sviluppo della provincia, già caratterizzata da una limitata presenza di attività economico-produttive. Ciò avviene sia attraverso l’infiltrazione nel tessuto economico-imprenditoriale (mortificando il principio della libera concorrenza tra imprese anche con il riciclaggio di denaro di provenienza illecita), sia condizionando il circuito dei finanziamenti pubblici alle imprese. Inoltre, l’organizzazione mafiosa, approfittando della perdurante crisi economico finanziaria e forte di una significativa disponibilità di capitali, ha ancor di più cercato di inserirsi nell’economia legale, impoverendo il tessuto produttivo sano. Le ingerenze mafiose nelle attività imprenditoriali si realizzano innanzitutto nel settore dell’edilizia, mirando ad inserirsi negli appalti pubblici. In merito, va osservato che Cosa nostra non sempre ha interesse ad aggiudicarsi un appalto: spesso la sua ingerenza nei lavori pubblici è esercitata nei subappalti, ovvero nella fase esecutiva dei lavori, attraverso l’imposizione alle ditte aggiudicatarie del pagamento di un pizzo o della fornitura di materie prime, mezzi e manodopera. In ogni caso, la penetrazione delle consorterie criminali nel settore dei pubblici appalti costituisce storicamente uno dei principali ambiti affaristici mafiosi; in passato, infatti, l’accaparramento e l’illecita gestione delle commesse sono anche stati la causa di pesanti conflitti criminali e motivo di numerosi e gravi episodi delittuosi.
A tal proposito si segnala che, il 7 settembre 2018, l’Arma dei carabinieri ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di un ergastolano agrigentino, già appartenente alla famiglia mafiosa di Siculiana, per l’omicidio avvenuto il 22 agosto 1993 a Cianciana, di un imprenditore operante nel settore del movimento terra e del trasporto inerti. All’epoca, la vittima si era opposta all’imposizione delle regole mafiose sulla spartizione dei subappalti. Molte sono poi le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia circa i metodi e le regole di spartizione delle commesse, nonché sugli imprenditori conniventi con Cosa nostra. Alcuni di questi si caratterizzerebbero, peraltro, per la duplice veste di imprenditori ed esponenti di un’organizzazione elitaria che agisce in simbiosi con le famiglie mafiose, mutuandone la forza di intimidazione e sfruttandone le alleanze e i collegamenti anche con espressioni mafiose di altri territori. Va, inoltre, sottolineato come l’attività criminale si estenda spesso anche all’ambito finanziario e tributario, specie in tema di fatturazioni, agevolando ulteriormente l’impresa mafiosa, cui sono garantiti ingenti profitti, derivanti anche da indebiti risparmi d’imposta. Tra le altre principali attività, le estorsioni si confermano fondamentali, in quanto tradizionale mezzo in grado di garantire sia una rapida e significativa liquidità, che un penetrante e capillare controllo del territorio.
Al riguardo, si può quindi argomentare che nel territorio sussiste una capillare ed estesa vessazione delle attività imprenditoriali e commerciali. Rispetto al semestre precedente, nel periodo in esame, sono peraltro aumentati, in provincia di Agrigento, le minacce e i danneggiamenti ai danni di operatori economici, sintomatici della pressione esercitata nel territorio dalle organizzazioni mafiose. Secondo un modello ormai consolidato, tale pressione viene esercitata con una sorta di gradualità ascendente che, partendo da atti simbolici, arriva ad azioni più gravi, come l’incendio di autoveicoli e mezzi, la distruzione e il danneggiamento di uliveti e frutteti. Il fenomeno dell’usura (da sempre alimentato da fattori riconducibili alle difficili congiunture economiche, dalle limitazioni all’accesso al credito da parte degli operatori economici e dallo stesso generalizzato sistema estorsivo), costituisce, al di là dei dati statistici, influenzati dalla diffusa reticenza delle vittime, un canale alternativo al sistema creditizio legale e di sicuro arricchimento per le mafie. I dati numerici relativi alle denunce presentate non sembrano comprovare, infatti, l’effettiva e reale entità del ricorso a questa pratica, che continua a rimanere per la maggior parte sommersa. Rimane, inoltre, rilevante il ricorso da parte del crimine organizzato al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti, che garantiscono consistenti guadagni. In merito, dall’analisi delle risultanze investigative registrate nel semestre in argomento, si rileva come il traffico – e la conseguente distribuzione degli stupefacenti – continui a rappresentare una delle attività privilegiate da Cosa nostra. Sono state rinvenute anche numerose piantagioni di cannabis, realizzate anche in serre, protette anche da impianti di videosorveglianza, soprattutto nella zona orientale della provincia.
Il business delle scommesse e del gioco automatizzato si conferma, infatti, come una delle principali fonti di reddito anche per le locali consorterie. Un affare realizzato attraverso l’imposizione e la gestione di slot machine all’interno di esercizi commerciali, l’acquisizione e l’intestazione a prestanome di sale da gioco, ovvero attraverso l’infiltrazione nelle società concessionarie e di gestione. Di particolare interesse appaiono anche gli affari correlati all’accoglienza dei migranti, con particolare riferimento alle diverse fasi dell’allocazione, dell’erogazione del vitto e del trasferimento. Al momento non risultano evidenze in merito ad un diretto coinvolgimento di Cosa nostra nel traffico degli esseri umani. Nella provincia, settori particolarmente esposti al rischio d’infiltrazione mafiosa sono anche quelli dell’agricoltura e dell’agroalimentare, delle energie da fonti rinnovabili, nonché quelli collegati alle emergenze ambientali, come ad esempio il ciclo dei rifiuti.
Nel semestre in trattazione si segnalano nella provincia danneggiamenti a seguito di incendio, subiti da ditte operanti in quest’ultimo settore. Oltre ai settori descritti, Cosa nostra agrigentina continua a condizionare anche l’attività politico–amministrativa cercando sempre più di controllare o orientare l’azione amministrativa degli enti territoriali in modo funzionale alle logiche del potere mafioso. Ne consegue che l’azione delle amministrazioni locali è sempre particolarmente esposta al concreto pericolo di condizionamento mafioso, attraverso pressioni ed azioni che sono esercitate in più fasi sia sul corpo elettorale che sugli stessi amministratori. Il corpo elettorale si trova, infatti, a dover fronteggiare le “lusinghe” delle consorterie mafiose al fine di condizionarne il voto e di imporre candidati collusi; gli amministratori locali sono poi esposti al tradizionale potere intimidatorio mafioso, sempre più associato o sostituito, almeno in parte, dalla corruttela. Il tutto per ottenere una ampia gamma di “favori”, come l’affidamento di lavori e di servizi, l’aggiudicazione di appalti, la concessione di autorizzazioni, di licenze, di varianti urbanistiche, l’omissione di controlli, il conferimento di incarichi vari e assunzioni di vario genere. E’ evidente come tali attività risultino funzionali, oltre che ad ottenere illeciti profitti, anche a mantenere un vasto sistema clientelare, anch’esso funzionale al controllo mafioso del territorio.
Si segnalano, poi, episodi di ricorso ad affidamenti diretti di lavori e servizi, da parte degli enti pubblici, giustificati spesso da pretestuose motivazioni di necessità e di urgenza, che impongono procedure di affidamento diretto e non negoziato, che consentono di eludere le rigorose procedure concorsuali. A tal proposito si evidenzia, per il periodo all’esame, che è in atto la gestione amministrativa, da parte di una Commissione straordinaria, del Comune di Camastra, sciolto con D.P.R. del 13 aprile 2018, per ingerenze mafiose in occasione delle ultime consultazioni amministrative. L’accesso ispettivo aveva preso le mosse, tra l’altro, anche dagli esiti dell’operazione “Vultur”, eseguita dalla Polizia di Stato nel luglio del 2016, con la quale furono colpiti da ordinanza di custodia cautelare soggetti con ruoli apicali in seno alla locale consorteria mafiosa, a vario titolo indagati per associazione mafiosa, tentata estorsione e detenzione illegale di armi comuni da sparo e da guerra. In particolare, è stato contestato “…di aver partecipato attivamente, direttamente e tramite terze persone, alla campagna elettorale del comune di Camastra relativa alle elezioni amministrative del giugno 2013, fornendo supporto al candidato Sindaco”, poi effettivamente eletto, “anche attraverso condotte intimidatorie nei confronti di esponenti politici di altri schieramenti”. Gli esiti dell’accesso hanno tra l’altro messo in luce che nel 2014 l’ente aveva espletato una procedura negoziata per l’affidamento di lavori di manutenzione ordinaria delle strade comunali, invitando a partecipare alcune ditte all’epoca destinatarie di provvedimenti interdittivi ed omettendo di svolgere accertamenti antimafia, in contrasto con le cautele che sarebbe stato necessario adottare a tutela della legalità, specialmente in un ambito territoriale in cui è consolidata la presenza di sodalizi criminali.
Allo stesso modo si segnala che, a seguito dell’accesso prefettizio ispettivo presso il Comune di San Biagio Platani, con il decreto del Presidente della Repubblica del 6 agosto 2018 è stata deliberata, per la durata di diciotto mesi, la gestione provvisoria dell’amministrazione comunale, affidata ad una commissione straordinaria a causa delle ingerenze della criminalità organizzata, che hanno esposto l’Ente a pressanti condizionamenti, compromettendone il buon andamento e l’imparzialità. Tra i soggetti coinvolti nella citata operazione “Montagna”, conclusa dall’Arma dei carabinieri il 22 gennaio 2018, figurava infatti anche il Sindaco, indagato per aver posto in essere, in concorso con altri, condotte materiali ed amministrative in favore di Cosa nostra, con particolare riferimento alla gestione delle aggiudicazioni dei lavori pubblici in violazione delle disposizioni normative di settore. È stato inoltre evidenziato che, in occasione delle elezioni amministrative del maggio 2014, esponenti della locale organizzazione criminale si erano prodigati per procurare voti in favore di colui che all’esito della consultazione è risultato eletto sindaco e che gli stessi vertici dell’organizzazione mafiosa hanno partecipato a riunioni preparatorie per la scelta dei candidati.
Per quanto concerne l’assegnazione dei lavori, servizi e forniture in economia è, inoltre, emerso come l’amministrazione comunale avesse ripetutamente fatto ricorso ad ingerenze nei confronti dei responsabili delle aziende aggiudicatarie, affinché l’attrezzatura necessaria per l’esecuzione dei lavori venisse fornita, attraverso dei noli a freddo, in totale elusione della normativa di settore. Anche nel semestre in trattazione, si sono registrate, in differenti località della provincia, svariate intimidazioni, tramite danneggiamenti o minacce di vario genere, nei confronti di rappresentanti delle Istituzioni. Si segnalano, inoltre una serie di danneggiamenti denunciati da personale di un consorzio di bonifica di Agrigento. In tale ambito, è comunque sempre alta l’attenzione e l’azione di contrasto sviluppata dalle competenti Autorità.
La Prefettura di Agrigento (anche per il tramite dell’attività svolta dal Gruppo Interforze) ha, infatti, emesso provvedimenti interdittivi per presunte infiltrazioni mafiose nei confronti di imprese ubicate in diversi comuni della provincia e operanti in diversi settori quali quello dell’edilizia, del commercio ittico e di carni, dei rifiuti, agricolo, del commercio di mobili ed arredi e della gestione di servizi di pubblico interesse. Sovente i titolari risultano essere coniugi, figli o comunque persone collegate a soggetti con precedenti per mafia.
Alle società sono state negate autorizzazioni amministrative e concessioni per erogazioni di finanziamenti pubblici. Una menzione particolare merita l’interdittiva antimafia emessa il 16 novembre 2018, in quanto sono stati ritenuti sussistenti elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nei confronti della società concessionaria del servizio idrico integrato in 27 dei 43 comuni della provincia, compreso il capoluogo, con una convenzione trentennale stipulata nel 2007.
Per quanto concerne l’attività di contrasto di tipo patrimoniale alla criminalità organizzata, il 4 ottobre 2018, la Polizia di Stato ha eseguito un decreto di sequestro di beni riconducibili a un commerciante originario di Cianciana, detenuto per associazione di tipo mafioso, ritenuto a capo della locale famiglia. Inoltre, ancorché non immediatamente ricollegabile a contesti di criminalità mafiosa, si segnala che, nel luglio 2018, la Polizia di Stato ha eseguito la confisca dei beni (per un valore di circa 2,5 milioni di euro) riconducibili ad un soggetto originario di Raffadali, sottoposto alla misura di prevenzione della Sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno. Nel panorama delinquenziale di questa provincia, si continua inoltre a registrare l’operatività di gruppi criminali stranieri, in particolare nordafricani e romeni.
Con il passare degli anni, essi sono aumentati nel numero e hanno allargato i propri margini operativi, anche grazie a rapporti con la criminalità locale di tipo comune. La presenza stanziale di tali formazioni criminali sembra tollerata da Cosa nostra, perché si inserisce in settori illeciti che non risultano di diretto interesse, in quanto di basso profilo e maggiormente esposti agli arresti ad opera delle forze dell’ordine. Si pensi allo sfruttamento del “lavoro nero” (specie nel settore della pesca e dell’agricoltura) e della prostituzione, al trasporto e allo spaccio di sostanze stupefacenti, ai furti di materiale ferroso, a quelli in abitazioni e nei terreni agricoli. Anche le ulteriori e molteplici evidenze investigative dell’ultimo semestre dimostrano come nella provincia il traffico di migranti sia appannaggio di organizzazioni transnazionali straniere, che gestiscono il fruttuoso mercato della tratta, in particolar modo dalle coste nordafricane verso quelle dell’isola di Lampedusa.
Si tratta di sodalizi criminali, specialmente di origine maghrebina, dediti al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e spesso anche al contestuale contrabbando di tabacchi lavorati esteri. Generalmente, i vertici di tali organizzazioni criminali operano nei territori di origine e quindi nella provincia sono presenti solo gli ultimi anelli della catena criminale, responsabili dell’eventuale accoglienza, del successivo trasporto anche verso altri Paesi o della collocazione finale. Per quanto riguarda le proiezioni all’estero, la forte emigrazione agrigentina verso i paesi dell’America e dell’Europa, ha portato anche alla ricostituzione in territorio straniero di aggregati delinquenziali aventi caratteristiche analoghe o simili a quelle locali; rendendoli utili punti di riferimento, specialmente per quanto concerne il traffico internazionale di stupefacenti.
Nello specifico, tradizionalmente le consorterie agrigentine della parte occidentale si sono proiettate verso i Paesi dell’America del nord ed in parte minore verso l’America Latina (specie Venezuela e Brasile), mentre quelle della parte orientale verso i Paesi del nord Europa, soprattutto Germania e Belgio. Si registra infatti, una serie di gravi fatti di sangue, avvenuti a Favara e in Belgio negli ultimi anni, che confermerebbe l’esistenza di una faida agrigentina in corso, verosimilmente maturata in ambienti riconducibili al traffico internazionale di sostanze di stupefacenti sull’asse Belgio–Agrigento.
A tal proposito, nel periodo in esame, si segnala l’arresto, ad Agrigento, di due persone, ritenute responsabili di un tentato omicidio di un soggetto originario della provincia agrigentina avvenuto in Belgio il 28 aprile 2017, che potrebbe inquadrarsi nell’ambito di tale faida. Correlati alla predetta faida, o comunque a un possibile generale e preoccupante riarmo delle consorterie criminali agrigentine, potrebbero essere anche i quantitativi di armi da fuoco, sia comuni che da guerra, e di munizionamento, oggetto di diversi sequestri e denunce, che ormai da tempo si registrano nella provincia. Sempre per quanto riguarda il Belgio, si ricorda che nel semestre precedente un indagato – ritenuto appartenente alla famiglia di Santa Elisabetta, con il ruolo di consigliere del capo del neo costituito mandamento c.d. della Montagna – irreperibile durante l’esecuzione dell’operazione “Montagna” di gennaio 2018, è stato successivamente rintracciato in Belgio, in esecuzione di mandato di arresto europeo e concesso in consegna alle autorità italiane il 18 maggio 2018.
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