Da una conversazione intercettata dalla polizia la conferma che la famiglia mafiosa di Santa Margherita dì Belice aveva messo le mani su vaste zone di campagna, appartenenti ad agricoltori e proprietari terrieri della Valle del Belice, da destinare al pascolo abusivo del bestiame, imponendo il pagamento di canoni irrisori, dalle 200 alle 500 euro annui che, in taluni casi, non sarebbero stati nemmeno corrisposti. Sono tutte vecchie conoscenze della mafia belicina le cinque persone indagate, nell’ambito dell’inchiesta, condotta sul campo dal personale della Squadra Mobile di Agrigento, dallo Sco e dalla Sisco di Palermo. I pubblici ministeri della Dda di Palermo, Claudio Camilleri e Felice De Benedettis, hanno fatto notificare l’avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Le ipotesi di reato sono quelle di estorsione e illecita concorrenza con minaccia o violenza aggravata dal metodo mafioso. Il provvedimento è stato firmato nei confronti di Pietro e Giovanni Campo, padre e figlio, di 73 e 34 anni; Piero Guzzardo, 46 anni, Pasquale Ciaccio, 59 anni, tutti di Santa Margherita Belice e e Domenico Bavetta, 42 anni, di Montevago. Campo, per anni sarebbe stato il referente di Matteo Messina Denaro, uno dei pochissimi nella provincia di Agrigento ad avere avuto il compito di interpretare i “pizzini” dell’allora superlatitante di Cosa nostra.
Inoltre, a confermare il forte legame tra l’ex numero uno della mafia siciliana e Campo, ci sarebbe anche il video registrato dalle telecamere nascoste il 7 dicembre del 2009 in cui si vede un fuoristrada con a bordo due persone – una delle quali secondo gli investigatori è proprio Messina Denaro – transitare in una zona di campagna, nei pressi di un terreno che fa parte dell’azienda agricola di Pietro Campo in contrada “Gulfa” a Santa Margherita di Belìce. E lo stesso Campo per anni è stato il numero due di Cosa nostra agrigentina dietro solo al “professore” Leo Sutera di Sambuca di Sicilia.
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