«Se ciascuno di noi a Pasqua cercasse di porre fine a un rancore, se ciascuno di noi a Pasqua cercasse di riallacciare e di riannodare un rapporto lacero, se ciascuno di noi a Pasqua regalasse un sorriso e donasse una parola a quelle persone a cui abbiamo tolto anche il saluto, allora sì c’è Pasqua e ci sarà Pasqua anche oggi, anche qui ed ora. Adesso si che possiamo scambiarci con consapevolezza e amorevolezza gli auguri di una Buona Pasqua! Sì: Cristo è risorto, veramente».
Dopo le processioni del Venerdì Santo, pubblichiamo gli auguri di Pasqua al territorio agrigentino, dell’Arcivescovo di Agrigento, mons. Alessandro Damiano.
Ecco il testo. «Fratelli e sorelle nel Signore, uomini e donne di buona volontà ho letto da qualche parte che l’uso continuo e reiterato di parole e concetti, provoca il loro logoramento; ovvero non se ne comprende più la loro portata, il loro valore, il loro peso. Può capitare a parole e concetti, ciò che accade con le banconote correnti: non ci si ricorda più del loro conio, di ciò che vi è disegnato sopra, dell’immagine. Ciò che, generalmente, avviene con le immagini impresse sulle monete può succedere anche con i concetti e le frasi più abituali; inclusi anche gli auguri pasquali. Forse ci passiamo gli auguri di Buona Pasqua, avendo dimenticato cosa sia veramente la Pasqua! Fermiamoci un minuto e domandiamoci: che cosa vuol dire augurare, augurarsi ogni anno, tutti gli anni, Buona Pasqua? Può esistere, si dà una cattiva Pasqua? Possiamo grattare sotto la smaltatura policromatica e luccicante dell’involucro dell’uovo di Pasqua per vedere, o forse tornare a vedere che cosa effettivamente e candidamente si nasconde dietro l’augurio di una Buona Pasqua?».
«Pasqua, ci dicono i dizionari, è parola ebraica che significa passaggio, passare oltre. Per i nostri fratelli maggiori ebrei, Pasqua indica – come ci narra il libro dell’Esodo – il passaggio dalla schiavitù alla libertà di servire l’unico e vero Dio nella Terra Promessa, dove scorrono latte e miele. Sì, servire Dio è per l’uomo libertà “da” ogni schiavitù, soprattutto quella del peccato, “per” amare Dio, le sorelle e i fratelli in umanità e l’intera casa comune dell’universo, per una vera “ecologia integrale”. La Pasqua cristiana si innesta sulla radice santa di quella ebraica, ci ricorda l’apostolo Paolo nella lettera ai Romani. Per Gesù, la Pasqua è il passaggio dalla morte alla vita, ad una vita che – però – non conoscerà più la morte; è passaggio da questo mondo al Padre. Nella Pasqua di Gesù il male e la morte sono totalmente e completamente debellati. C’è una sequenza liturgica, una composizione poetica, che si proclama o canta solennemente la domenica di Pasqua prima dell’ascolto del Vangelo della Resurrezione».
«Si tratta della sequenza “Victimae pascali laudes” (Lodi alla Vittima pasquale), ossia lode a Gesù morto e risorto. Verso la fine dell’inno leggiamo: “Scimus Christum surrexisse a mortuis vere” (Sappiamo che Cristo è risorto veramente dai morti). La Chiesa pone l’accento sull’avverbio veramente. Perché lo fa? Direi che la motivazione è duplice: retrospettiva e prospettiva. Retrospettivamente la resurrezione di Gesù è vera. Non si tratta di una pia finzione funzionale ad alienare l’uomo dal nostro mondo e dai nostri problemi (guerre, pandemie, carestie, crisi economica, migrazioni, terremoti…). Non si tratta nemmeno di una sorta di analgesico, «oppio dei popoli», in grado di intorpidire e svigorire la dolorosità del quotidiano e la quotidianità del dolore. Cristo è risorto veramente! Questa affermazione si fonda sulla testimonianza (nel greco del Nuovo Testamento si direbbe “martirio”) degli apostoli e dei primi discepoli, i quali si sono fatti uccidere, martirizzare, per non negare di aver visto Gesù risorto. Nessuno di loro ha visto il momento della resurrezione, ma hanno visto il Risorto venire loro incontro. Non si tratta di un’allucinazione soggettiva, ma di un vedere qualcosa che oggettivamente sta davanti agli occhi».
«Il verbo greco usato nei Vangeli per indicare le manifestazioni pasquali del Cristo indica, infatti, non una visione soggettiva ma una realtà oggettiva che «si fece vedere (ofthê), si fece riconoscere. È un dato oggettivo che si impone ai discepoli. Ogni martirio è, in ultima analisi, una testimonianza della fede nella resurrezione dei morti, della fede nel Cristo risorto dai morti! Pensiamo, per esempio, a un don Pino Puglisi, a un Rosario Angelo Livatino.
Prospettivamente la resurrezione di Gesù è vera oggi se noi suoi discepoli poniamo e adempiamo azioni di resurrezione; ossia azioni di vita, che danno vita dove c’è morte, azioni vivificanti e non mortificanti. C’è Pasqua, ci sarà Pasqua se e ogni volta che piantiamo e pianteremo vita. C’è Pasqua, ci sarà Pasqua se e ogni volta che piantiamo e pianteremo perdono. C’è Pasqua, ci sarà Pasqua se e ogni volta che piantiamo e pianteremo accoglienza e non vediamo e non vedremo nell’altro uno straniero e un estraneo, un migrante; ma un fratello, un altro me stesso».
«C’è Pasqua, ci sarà Pasqua se e ogni volta che piantiamo e pianteremo pace. Giustamente ci lamentiamo della guerra in corso tra la Russia e l’Ucraina e desideriamo che al più presto sopraggiunga e ritorni la pace. Ma non dobbiamo dimenticare che di guerre nel mondo c’è ne sono, purtroppo, tante, troppe. Ma non dobbiamo dimenticare che, purtroppo, nel mondo ci sono anche delle micro-guerre tra famiglie, tra persone. Se ciascuno di noi a Pasqua cercasse di porre fine a un rancore, se ciascuno di noi a Pasqua cercasse di riallacciare e di riannodare un rapporto lacero, se ciascuno di noi a Pasqua regalasse un sorriso e donasse una parola a quelle persone a cui abbiamo tolto anche il saluto, allora sì c’è Pasqua e ci sarà Pasqua anche oggi, anche qui ed ora. Adesso si che possiamo scambiarci con consapevolezza e amorevolezza gli auguri di una Buona Pasqua! Sì: Cristo è risorto, veramente».
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